MARIA MALVA. BRUCIA IL GIORNO PER ME di Emiliano Dominici

Ha preso fuoco, proprio lì, sotto gli occhi dei presenti. Sarebbe meglio dire che si è data fuoco. Nessuno ha saputo salvarla. L’unico aiuto è arrivato da una donna sudamericana che ha tentato di soffocare con una giacca le fiamme che le avvolgevano il corpo. Senza successo.

Già, com’è squallido l’essere umano

La ragazza è entrata nella cartolibreria di Gemma e le ha chiesto un accendino -profondi occhi scuri, capelli neri e un’ingiusta giovinezza – . L’unico che la donna possiede, ha sopra incise le sue iniziali e quelle di suo marito Giorgio. Ci tiene particolarmente e, prima di darlo alla ragazza, le chiede di restituirglielo una volta accesa la sigaretta alla quale sarebbe dovuta servire. “Brucia il giorno per me” è ciò che la ragazza risponde, lasciando Gemma interdetta.

Esce dal negozio, si dirige al centro della piazza, vicino alla panchina, si svuota sulla testa una tanica di benzina e aziona l’accendino con incise le due “G”. La vita dei presenti è segnata per sempre. Continua a leggere

IL VELO di Stefano Pasetto

Il velo è un oggetto di forte significato rituale e simbolico: entra, per esempio, nelle cerimonie nuziali e lo portano sul capo le religiose. Il velo copre ma lascia trasparire, nasconde e ripara. Si dice sollevare un velo, stendere un velo, alludendo a verità che vengono alle luce o si vogliono occultare.

Il velo evoca il mistero, l’occulto, ciò che non si può o non si vuole conoscere, ciò che deve restare nell’ombra senza però poter essere dimenticato. Ciò che è velato non scompare, resta lì in attesa di essere (s)velato o di piombare per sempre nell’oblio, sempre sul confine fra consapevolezza e ignoranza.

Stefano Pasetto, regista e sceneggiatore, ambienta il suo romanzo d’esordio fra l’Argentina e, in misura marginale, il Belgio nebbioso. Al centro della storia c’è un terribile segreto che unisce e al tempo stesso divide tre donne: una madre e le sue due figlie.

La figlia maggiore, Suor Silvana, insegna filosofia a Bruxelles in un istituto cattolico ed è lei la voce narrante. Nella scena d’apertura del romanzo la vediamo alle prese con i preparativi per un viaggio a Buenos Aires. L’ultima visita alla famiglia è avvenuta per i funerali del padre, sette anni prima. Continua a leggere

PARADISI PERDUTI di Emanuele Zeffiro

Davide è un archetipo. È laureato in fisica, ha un lavoro stabile in un ente pubblico ed è single. I suoi amici sono accasati e, quelli che non lo sono ancora, compiranno presto il grande passo. Il fratello Alessandro desidera una famiglia da cui tornare ogni sera.

L’immagine che ci si potrebbe fare di Davide è quella di un bianco etero libertino che affronta con successo il suo lavoro e colleziona aneddoti da raccontare alle numerose donne che ammalia e accompagna in camera da letto. Non è così. Davide non sa avere successo e non riesce a comunicare, specialmente con le donne.

«Ma io a volte mi sento inadeguato» aveva farfugliato lui, rendendosi conto che stava, di nuovo, restituendole solo una pallida fotografia della realtà. Avrebbe voluto dirle che in quella relazione gli sembrava di camminare in un campo minato: lasciava trapelare ben poco di sé, nel timore di irritarla con una delle sue frasi fuori luogo…

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UVA. UNA VITA ALTROVE di Giovanni Capotombolo

Chiunque sia stato giovane negli Anni ’90, aveva amici, un fratello, una sorella o un conoscente anche solo lontana che faceva parte di una rock band.
Le sale prove erano i garage del componente con la casa più grande o, semplicemente, con i genitori e i vicini più tolleranti. I social network, la realtà mediatica e la FOMO erano concetti lontani.
Solitamente si presentavano come esseri mitologici di poche parole, con le cuffiette che collegavano direttamente le orecchie al walkman e le magliette con stampate sopra facce di altri esseri mitologici. Eppure, ai concerti, si scatenavano: tiravano fuori la voce e pogavano via ogni problema della vita.

Sono come guerrieri urbani dentro l’Inferno dantesco, sono colorati e vivaci, vivi e vitali. In una parola: bellissimi.

UVA e Wally sono amici da una vita. Non hanno combinato troppi guai e, da bravi fratelli minori, vivono per emulare i maggiori. Così, appena questi ultimi compiono il loro battesimo del fuoco nel panorama del rock, i due amici non possono astenersi dall’imitarli. Continua a leggere

NÉ IL FIORE NÉ IL BARATRO di Giovanni Rossi

Un modo di classificare i libri è quello che si basa o sul determinismo associato al progetto d’una solo traiettoria possibile nella lettura, anzi nella vita del lettore, oppure sull’accettazione, paradigmatica in Borges, della distribuzione di probabilità d’infinite traiettorie. Il bel libro di poesie di Giovanni Rossi – Né il fiore né il baratro (editrice ChiPiùNeArt, Roma) – appartiene inequivocabilmente al secondo tipo.

Il tessuto è spugnoso, la luce v’entra stentorea e ne percorre i tratti cedendo colore alle pareti dei tessuti, la struttura modulata con la curvatura del sogno, del resto la via dritta è dell’uomo e la piegata di Dio: all’impavido lettore come al reticente sbirciare non rimane che scegliere una tra le infinite chiavi di lettura; io ho optato, sa il cielo perché, per l’ingresso nel labirinto dalla parte della contumacia del padre (Mio padre non è un sarto), questo senza, ovviamente, nessuna supposizione che questa sia anche la traiettoria che sceglierebbe l’Autore se costretto nei panni del Lettore: Continua a leggere

FERROVIE DEL MESSICO di Gian Marco Griffi

Ci sono libri che anziché limitarsi a raccontare storie dipanano il meccanismo (stocastico) che genera le vite, queste narrazioni hanno come essenza la non-finitudine: in una delle novelle de Le mille e una notte, Shahrazad racconta Le mille e una notte; nell’Amleto, una compagnia di guitti recita l’Amleto; nella seconda parte del Don Chisciotte, s’ipotizza che i personaggi abbiano letto la prima; tutte queste strutture creano racconti che contengono sé stessi e tendono a infinito: questa è l’architettura di Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi.
La vicenda è compresa fra il gennaio e il febbraio del ’44, quando tutti -ma proprio tutti, salvo Hitler- sanno che le potenze del Patto d’Acciaio hanno perso la guerra. I reietti cercano di sopravvivere agli ultimi singulti di una violenza insensata, l’élite s’inebria del tramonto wagneriano, madido di caos, d’irrazionalità, sentore dell’apocalisse.

In questa aurea di cupa decadenza, il soldato della Repubblica Sociale Cesco Magetti –come in molti personaggi di Dickens, preda di uno stigma che lo distingue: un perenne mal di denti che cerca di lenire con vino, idrolitina e infinite sigarette- ultimo anello di una catena di comando che arriva fino ai vertici del regime fascista e a quello nazista, è incaricato di disegnare la mappa delle ferrovie del Messico: “i signori della guerra” si sono convinti, nell’insensatezza del reale, che esista una città, Santa Brígida de la Ciénaga -città mitologica, non segnata in alcuna carta- in cui è nascosta l’arma della vittoria finale. Continua a leggere

LA RICREAZIONE È FINITA di Dario Ferrari

Marcello Gori, trentenne viareggino laureato in Lettere, si lascia pigramente vivere e non sogna il successo. Sostanzialmente disoccupato, si rifiuta di lavorare nel bar di suo padre e trascina un’esistenza fatta di soddisfazioni mediocri e orizzonti angusti.

Io a trentun anni non sono molto diverso da quello che ero a ventidue, che a sua volta non era granché diverso da quello che ero a sedici. Se considero i traguardi che ho raggiunto, semplicemente, non ne vedo: checché ne pensi mia madre, una laurea in Lettere nel ventunesimo secolo non può essere considerata un traguardo. A oggi ancora non sono stato in grado nemmeno di prendere un cane, per dire. O di finire Morte a credito.

I suoi amici gli assomigliano; la sua fidanzata no. Letizia, laureata in Medicina, energica e volitiva, è determinata a raggiungere obiettivi che considera vitali. La loro relazione tranquilla e grigia non sfolgora di passione, ma se la fanno bastare.

Nella routine di Marcello tutto cambia quando, per una serie di circostanze che s’incastrano una nell’altra trascinandolo in un’avventura alla quale non riesce a sottrarsi, conquista una borsa di dottorato in Italianistica.

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LA TRAVERSATA NOTTURNA di Andrea Canobbio

Torino, storia di due giovani che valicano il dopoguerra, incontrandosi, innamorandosi, sposandosi, partorendo figli. Lui -ufficiale del Genio e futuro ingegnere- è appena tornato dalla disfatta militare in Russia; lei, ammantata di nubi, respira musica e poesia. Improbabile, eppure si sposano nel 1946. Coppia preda dell’insostenibile euforia del boom economico e poi del peso invincibile che sulle spalle calano gli anni della maturità: Andrea, uno dei figli, si prenderà la briga di raccontarci in questo libro il tessuto della sua vicenda famigliare.

Prima c’era una casa, poi c’era una fossa. Non è normale che un simile prodigio sorprenda un bambino? E tutto questo l’ha fatto tuo padre. Così forte da distruggere una casa e scavare un buco largo e profondo come la casa stessa. E infatti dopo un po’ dal buco è uscita fuori una casa nuova, come se la terra l’avesse partorita e mio padre fosse una levatrice o un rabdomante o un cane da tartufo…

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LA ROVINA DI KASCH di Roberto Calasso

TALLEYRAND: Parlo sulla soglia di questo libro perché sono stato l’ultimo che ha conosciuto le cerimonie. Parlo anche, come sempre, per ingannare. Non a me è dedicato questo libro, né ad alcun altro. Questo libro è dedicato al dedicare.

«È un uomo difficile da seguire nei meandri della sua vita politica, M. de Talleyrand» disse la duchessa d’Abrantès aprendo le porte del Salon de M. de Talleyrand. All’entrata, gli stucchi fragranti dell’Ancien Régime. All’uscita, il tinello borghese. Al centro, le belve ipnotiche dell’Impero ci fissano dai braccioli. E, in stanze laterali, salutiamo la ghigliottina e le foreste americane. Verso il fondo, un Congresso inciampa negli strascichi delle sue danze.

Difficile trovare un inizio e ancora più difficile trovare una fine a questo labirintico libro-saggio di Roberto Calasso. Dunque da dove partire? Iniziamo dal contesto storico (il primo che incontriamo nel labirinto): l’anciene régime. Iniziamo da uno dei personaggi di questo periodo, da quello più nascosto, quello che la storia ha seppellito e che la scuola non ci ha mai regalato: Talleyrand. Continua a leggere

I MIEI STUPIDI INTENTI di Bernardo Zannoni

Mio padre morì perché era un ladro. Rubò per tre volte nei campi di Zò, e alla quarta l’uomo lo prese. Gli sparò nella pancia, gli strappò la gallina di bocca e poi lo legò a un palo del recinto come avvertimento. Lasciava la sua compagna con sei cuccioli sulla testa, in pieno inverno, con la neve.

Sopravvivere è dura se si è nati in una tana umida in mezzo al bosco. Archy è una faina. Suo padre, dopo aver fatto il suo dovere fisiologico, ha abbandonato la madre a svezzare lui ed i suoi fratelli, non sempre con successo. Tuttavia, il mondo che gli viene promesso è questo: solo i forti sopravvivono. Archy, tuttavia, è un caso a sé: reso zoppo da un incidente di caccia, non è abbastanza vigoroso da sopravvivere senza difficoltà, né abbastanza debole da lasciarsi morire. La madre perciò lo vende alla volpe Solomon, usuraio che, in cambio del figlio, le darà cibo a sufficienza per sfamare il resto della famiglia. Così la faina e la volpe iniziano la loro travagliata convivenza. È con lui che Archy scoprirà di avere degli istinti apparentemente dissimili da quelli che riconosce in chi appartiene al suo mondo, circoscritto nella vastità di una collina. Continua a leggere

Fresco d’autore: La città del vento. Intervista con Francesco Pulejo

IL ROMANZO
S., città di fiorenti traffici di malaffare e di intrecci fra criminalità organizzata e politica, è scossa dal brutale assassinio dell’avvocato Riccobono, difensore di molti mafiosi di spicco e di intere famiglie di malavitosi. Il primo movente sul quale si indirizzano le indagini sembra, però, poter essere fumo negli occhi e nascondere vicende ben più complesse della semplice insoddisfazione di un cliente di alto rango criminale per il modo in cui il legale ucciso aveva espletato il suo mandato. Si tratta di un romanzo corale in un senso molto particolare: è come se l’autore chiamasse, a narrare la storia della mafia di S., le diverse categorie coinvolte, le quali, nei dialoghi serrati che si alternano alle descrizioni dettagliate dei personaggi, degli ambienti e del paesaggio, raccontano una città, una classe dirigente e una criminalità con il diverso sguardo degli investigatori, dei colleghi della vittima, dei politici e degli stessi malavitosi. Non è l’unico tratto di originalità del bel romanzo di Francesco Pulejo, che ringrazio per aver voluto rispondere ad alcune mie domande.

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SPATRIATI di Mario Desiati

Un ossèquio sulle labbra, un gesto consenziente, una spazzolata alle scarpe: reputazione. Spatriati, Premio Strega 2022, ci conduce di fronte al palcoscenico della vita: esistenze di polistirolo, ipocrisia come sostituto dell’etica, perbenismo (una volta si sarebbe detto “borghese”) surrogato della morale: va di scena la disgregazione della molecola elementare della società tardo capitalista, esplode (o implode?) la famiglia.

Nelle famiglie non esistono segreti, ma solo dei patti dolorosi, a volte miserabili, a volte irrinunciabili, dei ‘non detti’.

Due adolescenti, inquieti ed errabondi, occhi al cielo e sogni colorati, vagano per la provincia di un Sud lunare e polveroso, a cercare una via di fuga, soluzione alla continuità della vita per approdare alla Vita. Si scoprono figli di due adulteri che hanno tessuto, tra la finzione della tribù, una relazione extra-coniugale. Claudia, lancia in resta, in lotta con tutto, un colpo lei uno il Mondo a chi cada per primo; Francesco, remissivo, rassegnato, inconsapevole di ciò che sta dietro allo schermo che il conformismo ha posto innanzi, non in grado di comprendere il suo confuso rifiuto della propria collocazione, come figlio, come credente, come maschio, o cosa?

Poi l’altrove: master in Bocconi per lei, il mondo della produttività che ingurgita, il volere essere soccombe al dovere essere, il desiderio di sembrare fa aggio sulla necessità d’essere, anzi d’Essere. Lui, invece, rimane tra le braccia materne dell’inedia, cullato dalla menzogna, sostenuto dalla falsità, blandito dall’usuale. Poi la deflagrazione, lo spazio aperto diviene autorealizzazione, Francesco si rifugia da Claudia che ora lavora in Germania. Continua a leggere

LA GIORNATA DI UNO SCRUTATORE di Italo Calvino

… Nel crudele gergo popolare, poi, quel nome era divenuto, per traslato, epiteto derisorio per dire deficiente, idiota, anche abbreviato, secondo l’uso torinese, alle sue prime sillabe: cutu. Sommava dunque, il nome «Cottolengo», un’immagine di sventura a un’immagine ridicola (come spesso avviene nella risonanza popolare anche ai nomi dei manicomi, delle prigioni), e insieme di provvidenza benefica, e insieme di potenza organizzativa, e adesso poi, con lo sfruttamento elettorale, d’oscurantismo, medioevo, malafede…

Ambientato nel 1953, questo romanzo breve (o racconto lungo), racconta di una crisi profonda, al limite dell’esistenziale, di un uomo e dell’umano, in una Italia che affronta, nuovamente, le elezioni.
In questo romanzo l’autore mette a nudo, scompone e stravolge la politica e l’etica che dietro essa, troppe volte, si nasconde fino a dissolversi. Se ne Il sentiero dei nidi di ragno Calvino ci faceva vedere il mondo, cioè la guerra, attraverso gli occhi di Kim, un bambino, ora lascia il lettore in balia di uno scrutatore, che è anche un intellettuale comunista, per raccontare il dopoguerra italiano. Continua a leggere

Fresco d’autore: Il club dei perdenti. Intervista con Giulia Rossi

Il Club dei PerdentiPremessa
Conosco Giulia da parecchi anni ormai, da quando frequentava il laboratorio di scrittura del Circolo Tobagi a Mestre nel 2014.  Da allora Giulia ha fatto molta strada nel suo percorso di scrittura, due anni fa ha pubblicato il suo primo romanzo “È così che si fa”. E oggi siamo qui a parlare del suo secondo romanzo, “Il club dei perdenti”.

Sinossi

È una gelida notte d’inverno. In una cittadina di provincia, un senzatetto dorme al riparo d’un porticato, quando un gruppo di ragazzi si avvicina e gli dà fuoco. Salvato per miracolo, il barbone viene ricoverato in terapia intensiva, ma la sua identità rimane un mistero: non ha con sé documenti e nessuno va a chiedere di lui all’ospedale. Una delle poche cose salvate dal fuoco è il suo zainetto, dove c’è una copia del romanzo del giovane scrittore Lorenzo Fabbi.
Lorenzo apprende la notizia casualmente, dal telegiornale, mentre cena. Non dà importanza al ritrovamento del suo libro: il successo è stato tale da giustificare la sua presenza nello zaino di qualsiasi sconosciuto. In seguito, però, emergono altri particolari e in lui si insinua il dubbio: quel senzatetto è davvero un estraneo o la storia raccontata nel romanzo li lega a doppio filo? Una storia ispirata all’estate di vent’anni prima, quando, per vincere la noia delle vacanze in città, Lorenzo aveva fondato il Club dei perdenti insieme con altri tre ragazzini come lui: Sara, Giacomo e soprattutto Ema, il suo migliore amico.

 

Intervista
Per me questo romanzo è un inno d’amore per il quartiere Piave, a cui anche lo dedichi. Mestre e in particolare il quartiere Piave qui diventa palcoscenico ma anche personaggio, che si muove nella Storia insieme ai suoi abitanti che vivono le storie da te raccontate. Era questo il tuo intento? Quando è nata l’esigenza di raccontare una storia ambientata nel quartiere?
Sì, sicuramente la città, e in particolare il quartiere Piave dove sono cresciuta e dove ho scelto di vivere oggi, voleva essere nel romanzo qualcosa in più di un semplice teatro delle vicende. Non è un caso forse se le due parti in cui si divide il romanzo, tra presente e passato, prendono avvio da due fatti che riguardano proprio la città: nel passato da questo gruppo di ragazzini che pensa di aver intravisto dietro al degrado di Mestre lo stesso Male, inteso proprio come entità malvagia, contenuto tra le pagine di IT. Nel presente da un fatto di cronaca che fortunatamente è solo stato immaginato ma purtroppo potrebbe essere verosimile: un senzatetto cui viene dato fuoco vicino alla stazione e la cui identità risulta un mistero, dal momento che non ha con sé documenti quando si salva dall’incendio e viene ricoverato.
Il romanzo vuole certo essere una fotografia del non sempre stato roseo delle cose qui, ma anche un atto di riscossa e un inno di amore, è vero. Si parla sempre del marcio che c’è tra queste vie, e di marcio ce ne è eccome, ma non siamo altrettanto bravi a raccontare i lampi di bellezza che si celano dietro al grigiore e ai fatti di cronaca. Bellezza che emerge forse ancor più dirompente proprio in quanto ribellione a ciò che qui non va. Come scrivo nel romanzo, appena esci dalla via principale qui c’è un mondo rionale tutto da scoprire, provinciale nel senso positivo che do io all’essere provinciale.

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CALIGOLA: IMPERO E FOLLIA di Franco Forte

Gaio sapeva di essere il meno considerato tra i figli di Germanico, forse al pari delle sue sorelle. Ma non solo non si infuriava per questo, anzi portava pazienza e cresceva all’ombra di tutti, imparando quanto più poteva e sfruttando la sua capacità di aggirarsi per il palazzo imperiale come un fantasma per spiare chiunque gli capitasse a tiro. Non dimenticava la promessa che aveva fatto a Germanico: l’avrebbe vendicato, avrebbe restituito dignità alla sua famiglia, convinto di essere il solo, tra i suoi fratelli, che avrebbe potuto tenere testa a Tiberio e ai suoi scagnozzi.

Tra i tanti imperatori di Roma, Franco Forte sembra divertirsi e occuparsi solo di quelli più folli, come nel suo romanzo Caligola: Impero e follia e come aveva già fatto nel suo romanzo Roma in fiamme, nel quale ci racconta la storia dell’imperatore-poeta Nerone.

Quello che la storia ci tramanda di Caligola è la sua follia che fece di un cavallo un senatore ma, quello che quasi sempre viene taciuto, è che molto spesso la rivoluzione, l’opposizione e la resistenza sono gesti simili e degni solo dei folli. Continua a leggere