LA RICREAZIONE È FINITA di Dario Ferrari

Marcello Gori, trentenne viareggino laureato in Lettere, si lascia pigramente vivere e non sogna il successo. Sostanzialmente disoccupato, si rifiuta di lavorare nel bar di suo padre e trascina un’esistenza fatta di soddisfazioni mediocri e orizzonti angusti.

Io a trentun anni non sono molto diverso da quello che ero a ventidue, che a sua volta non era granché diverso da quello che ero a sedici. Se considero i traguardi che ho raggiunto, semplicemente, non ne vedo: checché ne pensi mia madre, una laurea in Lettere nel ventunesimo secolo non può essere considerata un traguardo. A oggi ancora non sono stato in grado nemmeno di prendere un cane, per dire. O di finire Morte a credito.

I suoi amici gli assomigliano; la sua fidanzata no. Letizia, laureata in Medicina, energica e volitiva, è determinata a raggiungere obiettivi che considera vitali. La loro relazione tranquilla e grigia non sfolgora di passione, ma se la fanno bastare.

Nella routine di Marcello tutto cambia quando, per una serie di circostanze che s’incastrano una nell’altra trascinandolo in un’avventura alla quale non riesce a sottrarsi, conquista una borsa di dottorato in Italianistica.

La cifra del romanzo è una dolente ironia che si apprezza in modo particolare nelle gustose descrizioni del mondo accademico con i suoi riti, le sue regole e il suo peculiare modo di comunicare.

Fra mammasantissima, portaborse e servi della gleba, le vicende del nostro antieroe fanno sorridere e anche ridere, senza mai scivolare nel caricaturale. Lo vediamo così affrontare un mondo estraneo in cui si muove disorientato facendo una gaffe dietro l’altra e poi imparando a muoversi in modo via via più sciolto. Gli fanno da guida i colleghi più anziani che in quel mondo vivono (o sopravvivono), chi con cinismo, chi con disperazione, da anni.

La seconda cosa che ho capito è che anche gli studi letterari, alla fine, sono una lotta tra bande, e che gli autori non sono altro che occasioni per fare sfoggio delle proprie sconfinate ed egolatriche doti ermeneutiche, che devono necessariamente esercitarsi contro le sconfinate ed egolatriche doti ermeneutiche di qualcun altro. Se si diventa critici, dunque, la prima cosa da fare è scegliere in che cordata stare e allinearsi.

In questo microcosmo elitario e autoreferenziale a Marcello toccano due fortune: studiare l’archivio di un suo conterraneo terrorista e letterato, Tito Sella, e andare a Parigi ad approfondire le tematiche sulle quali il barone universitario sua guida, il chiarissimo professor Raffaele Sacrosanti, lo spinge a indirizzare la sua ricerca.

…l’accademia è un mondo psicotico affetto da una grave dispercezione della realtà, popolato da individui dotati di fama estremamente limitata (alcune micro-aree del loro micro-campo di expertise), che operano in un settore marginale e assolutamente indigente come quello della cultura, e che nondimeno si sentono delle rockstar, e hanno ego e comportamenti commisurati a questa loro convinzione. Gente che scuote la testa incredula nel constatare che il loro La metrica nella poesia vernacolare italiana tra Ottocento e Novecento ha venduto meno dell’ultimo Strega.

Le convinzioni di Marcello, il suo sistema di valori e il passo indolente con cui attraversa le giornate subiscono scosse potenti, per effetto delle informazioni che riesce a raccogliere su Tito Sella, sul terrorismo degli anni Settanta e su un sequestro culminato in una carneficina. Anche le abitudini da ragazzo di provincia subiscono l’impatto della rutilante Parigi in cui gli studenti faticano a trovare un buco in cui alloggiare. Infine, l’incontro con una ragazza italiana, Tea, del tutto diversa dalla solida Letizia, finalmente gli susciterà emozioni che la fidanzata con la testa sulle spalle non gli aveva mai fatto neppure immaginare.

La struttura del romanzo è fatta di due storie sovrapposte: quella del giovane dottorando e quella del terrorista alle cui vicende si appassiona, apprendendo dalle sue opere letterarie un’idea centrale, ovvero: “che esista un momento in cui si sospende la serie del tempo e delle vicende di una vita per svelare l’identità ultima di un personaggio, l’essenza di un individuo, quello che lo stesso Sella, citando Yeats, chiama «il volto che avevo prima che esistesse il mondo». Borges scrive – e Sella sottoscrive – che «qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento: il momento in cui l’uomo sa per sempre chi è»”.

In diversi modi e in diversi momenti le due storie si toccano, i personaggi della storia attuale quasi sono specchio della storia passata. La vicenda umana di Tito Sella, quale emerge dalle carte e dai racconti di italiani espatriati a Parigi negli anni di piombo, diventa fondamentale, per il giovane dottorando, ai fini di una migliore comprensione di se stesso. E alla fine dei giochi, quando tutto diviene chiaro, Marcello dovrà decidere chi vorrà essere per approdare in qualche modo alla maturità.

Ho pensato di potermi immedesimare in Tito Sella, improvvisandomi intellettuale, rivoluzionario, perfino scrittore, ma ho dovuto riconoscere che non era possibile. O meglio, ho capito che il Tito Sella con cui volevo immedesimarmi forse nemmeno esisteva.
Perché poi, paradossalmente, Tito Sella in un certo senso lo sono diventato. Entrambi ci siamo imbarcati in qualcosa che era al di sopra delle nostre forze, ed entrambi siamo inevitabilmente capitolati.

 

LA RICREAZIONE È FINITA
Dario Ferrari
Sellerio
pp. 480
euro 16

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