ROMA RACCONTATA DA DENTRO: INTERVISTA A LIVIO CURATELLA

Livio Curatella, romano che più non si potrebbe, ama raccontare storie. Nei suoi libri si sente la passione dello scoprire e del narrare frammenti di vita. In questa intervista, in particolare, risponde alle mie domande su due sue opere pubblicate dalla casa editrice indipendente Chipiuneart Edizioni: Facce e martello (2018) e Carne di Roma (2024).
Una Roma personificata, viva, di carne appunto, che l’autore fa parlare così, nel brano che apre la sua più recente pubblicazione:

Oltre a guardarvi ho anche una voce, e decidete voi quale timbro posseggo dopo aver passato millenni sopra e sotto questo terreno.
Sono fatta di tante sostanze e sono vista da voi come appaio, cioè di marmo bianco e tufo, circondata da fontane e alberi secolari, monumenti millenari, sterminate periferie, dove tutto ha una storia, dove ogni pezzo di me racconta qualcosa, ma sono anche carne, sì, quella carne che voi sentite in un semplice contatto delle vostre membra con il mondo.

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IL VELO di Stefano Pasetto

Il velo è un oggetto di forte significato rituale e simbolico: entra, per esempio, nelle cerimonie nuziali e lo portano sul capo le religiose. Il velo copre ma lascia trasparire, nasconde e ripara. Si dice sollevare un velo, stendere un velo, alludendo a verità che vengono alle luce o si vogliono occultare.

Il velo evoca il mistero, l’occulto, ciò che non si può o non si vuole conoscere, ciò che deve restare nell’ombra senza però poter essere dimenticato. Ciò che è velato non scompare, resta lì in attesa di essere (s)velato o di piombare per sempre nell’oblio, sempre sul confine fra consapevolezza e ignoranza.

Stefano Pasetto, regista e sceneggiatore, ambienta il suo romanzo d’esordio fra l’Argentina e, in misura marginale, il Belgio nebbioso. Al centro della storia c’è un terribile segreto che unisce e al tempo stesso divide tre donne: una madre e le sue due figlie.

La figlia maggiore, Suor Silvana, insegna filosofia a Bruxelles in un istituto cattolico ed è lei la voce narrante. Nella scena d’apertura del romanzo la vediamo alle prese con i preparativi per un viaggio a Buenos Aires. L’ultima visita alla famiglia è avvenuta per i funerali del padre, sette anni prima. Continua a leggere

NÉ IL FIORE NÉ IL BARATRO di Giovanni Rossi

Un modo di classificare i libri è quello che si basa o sul determinismo associato al progetto d’una solo traiettoria possibile nella lettura, anzi nella vita del lettore, oppure sull’accettazione, paradigmatica in Borges, della distribuzione di probabilità d’infinite traiettorie. Il bel libro di poesie di Giovanni Rossi – Né il fiore né il baratro (editrice ChiPiùNeArt, Roma) – appartiene inequivocabilmente al secondo tipo.

Il tessuto è spugnoso, la luce v’entra stentorea e ne percorre i tratti cedendo colore alle pareti dei tessuti, la struttura modulata con la curvatura del sogno, del resto la via dritta è dell’uomo e la piegata di Dio: all’impavido lettore come al reticente sbirciare non rimane che scegliere una tra le infinite chiavi di lettura; io ho optato, sa il cielo perché, per l’ingresso nel labirinto dalla parte della contumacia del padre (Mio padre non è un sarto), questo senza, ovviamente, nessuna supposizione che questa sia anche la traiettoria che sceglierebbe l’Autore se costretto nei panni del Lettore: Continua a leggere