TEMPO DI UCCIDERE di Ennio Flaiano

Ero meravigliato d’essere vivo, ma stanco di aspettare soccorsi

Fin dalla prima riga Flaiano, abile realista, ci introduce nel mondo della coscienza, quel mondo allegorico, confuso, enigmatico che solo la malinconica Africa avrebbe potuto accogliere e raccogliere. L’Africa esoterica, lontana, amante di notte e nemica di giorno, colonizzata dai fascisti, cancellata nel suo significato dalla mano dell’uomo che ne confonde i contorni, ospite alieno di una natura che non ha niente a che spartire con lui. Ma per Flaiano l’Africa è tutto tranne uno spazio geografico o il luogo dei vincitori: l’Africa è allegoria, posto in cui la coscienza può compiere il suo viaggio spennellato di dubbi, errori, sentieri e scorciatoie mortali; e così la mente del protagonista si arrampica tra congetture, illusioni e pensieri. Il caldo che soffoca e accende le voglie, la città di A così pittoresca da sembrare un’allucinazione e un protagonista lontano, chiuso nell’enigma della natura, inghiottito da tutto ciò che lo circonda e come chi, cade nelle sabbie mobili e dimenandosi per uscirne ne rimane sempre più invischiato, così lui, che si dimena e si tormenta per fuggire, per correre e salvarsi da sé stesso. E poi l’apparizione della donna, di Miriam, gazzella africana dal turbante bianco, di lei poche cose: una pozzanghera che la lava, la nudità selvaggia del suo corpo e il rimorso che s’incarna nel dubbio. Dopo Miriam è tutto un equivoco che lo porterà fino al silenzioso, e per questo inquietante, Johannes curatore di sensi di colpa e padre di Miriam. Continua a leggere