I MIEI GENITORI NON HANNO FIGLI di Marco Marsullo

I-miei-genitori-non-hanno-figli-marco-marsulloI miei genitori non hanno figli è un romanzo che all’inizio lascia perplessi. Non si capisce dove voglia andare a parare, se così si può dire. Eppure, contemporaneamente, crea una curiosità di proseguirne la lettura che poi non delude.
A parlare è un diciottenne, figlio di genitori divorziati da cinque anni, ma, nei ricordi dell’io narrante, estranei da molto più tempo. I genitori appartengono a quella generazione fedele a un unico progetto nella vita, anche qualora tale progetto si rivelasse fallace o quanto meno fallibile:

una scelta e una soltanto, promessa indissolubile con se stessi, per la quale si sono fatti debiti, economici e morali, con il futuro.

Sprecato il solo colpo in canna, non ce n’è un altro: l’esistenza diventa soltanto un disperato tentativo di rattoppare, raddrizzare, correggere. Mai una seconda, autentica possibilità da darsi.
Sarà per questo che la madre, terrorizzata dallo spettro della solitudine dopo il fallimento del proprio matrimonio, salta da un fidanzato all’altro con la stessa frenesia con cui frequenta migliaia di corsi di meditazione orientale, yoga, pilates. Il padre, ritiratosi in campagna a coltivare la sua passione per la natura e la caccia, obbliga il ragazzo a trascorrere interi pomeriggi guardando filmati di battute di caccia tra i boschi della Lettonia:

E più vedo che siamo uguali, nel bacino largo, nelle spalle forti, nelle occhiaie pronunciate, più penso che abbiamo proprio dovuto proprio metterci d’impegno per non riconoscerci nei pensieri.

Nonostante i due genitori abbiano potuto constatare a proprie spese quanto sia impossibile e inefficiente, a conti fatti, avere un progetto di vita infallibile, pretendono dal figlio una capacità decisionale troppo lucida per i suoi diciotto anni, o forse troppo lucida e basta. Questa pretesa, in un continuo confronto con i figli dei loro amici, lungi dallo spronarlo finisce soltanto per intorpidirlo, facendolo sentire soltanto come l’ultimo punto della lista dei fallimenti della loro vita insieme.

L’incomprensione quasi cronica tra le due generazioni, che risulta paradossalmente ancora più incolmabile quando i genitori cercano di mantenersi giovani e al passo con i tempi nel linguaggio, nella modalità di vivere le relazioni, nei gruppi familiari di Whatsapp, trova nel corso del romanzo una via di uscita, uno spiraglio di luce, quando per la prima volta l’io narrante comincia a domandarsi se a ruoli invertiti, in fondo, sarebbe stato capace di fare meglio:

Dev’essere spiazzante smettere di esistere solo come essere umano e diventare a un certo punto genitore. Per questo fanno errori che agli esseri umani comuni, di norma, vengono perdonati, e a loro no.

La scrittura rischia talvolta di scivolare dalla scorrevolezza alla frivolezza (a livello di stile, s’intende, non di contenuti), errore a mio parere dovuto al volere quasi ostentatamente mettere in bocca all’io narrante espressioni, contenuti, pensieri tipici della sua età che rischiano di cadere a tratti nella stereotipizzazione.

Ciò che ho apprezzato, invece, è il fatto che per dichiarazione stessa dell’autore, il romanzo sia in parte autobiografico. In questo forse sta la sua efficacia: nell’essere testimonianza, nel riuscire, attraverso l’uso di una prima persona reale e non fittizia, a diventare una storia “lieve”: la rassicurazione che, vada come vada, se ne esce comunque vivi, sia dall’essere figli che dall’essere genitori: sta tutto nell’adattarsi “l’uno alla forma sbagliata dell’altro per non sparire del tutto.”

MarcoMarsullo

I miei genitori non hanno figli
di Marco Marsullo
Einaudi (collana Einaudi. Stile libero big)
Anno 2015
p.138
€ 16,50
Disponibile anche in eBook

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