L’INVENZIONE DELLA MADRE di Marco Peano

L'invenzione della madre

L’invenzione della madre è un libro che si legge con trasporto. È una storia che riguarda e ha riguardato molti di noi, che qui assume i connotati specifici e soggettivi del commiato dalla madre, ma in cui non manca una dimensione più universale che tocca i temi della sofferenza e della separazione.

Mattia, appassionato di cinema, è un ventiseienne che fa fatica a “smarcarsi dalla condizione di figlio”: vive ancora con i genitori, ha lasciato l’università, ha una ragazza con la quale fa fatica ad immaginare un futuro.

È in questa incapacità d’inventarsi un’altra vita che lo coglie la malattia della madre.

Nella sua storia ci sono dunque una madre, un padre, una ragazza, persino un gatto, poi c’è lui: il cancro.

In principio era il cancro Il cancro affligge da sempre gli esseri umani.

Mentre le persone, ad eccezione di Mattia, sono private del nome proprio, alla malattia si antepone l’articolo determinativo. Il cancro viene paragonato ad una gravidanza, un essere che necessita di un corpo per perpetuarsi. Quel corpo è qui il corpo ospitante per eccellenza: quello della madre. Il cancro è come un eccesso di vita che traboccando si riversa sul figlio. Mattia non può fare altro che correre in questa gara segnata sin dall’inizio dalla sconfitta, di provare a lottare contro il tempo, di godere di ogni istante e assaporare ogni momento di vita insieme a lei, la madre.

Seppure quasi evanescente nell’avanzare della malattia, la figura della madre è onnipresente e totalizzante. Senza di lei si perdono anche le definizioni che danno identità alle altre figure: il padre di Mattia non sarà più marito, ma vedovo; Mattia stesso smetterà di essere figlio per diventare orfano.

Dopo la morte della madre il figlio dovrà affrontare una seconda nascita, dovrà reimparare a vivere.

Il cammino compiuto da Mattia trova un riflesso nel rapporto tra immagini e parole. Le citazioni cinematografiche scorrono copiose (forse troppo) in forma di libere associazioni. Mattia stesso cerca di far rivivere il passato guardando e riguardando una videocassetta che ritrae la madre prima della malattia. Un gesto, questo, quasi miracoloso, un rituale sacro.

Se il cinema suggerisce che tutto può essere compreso in un’inquadratura, essa stessa diventa un recinto magico al di fuori del quale nient’altro ha valore.

In una successione di parole che testimoniano l’inevitabile dipendenza della madre dalle sue protesi (“madre-carrozzina”…), nella totale identificazione della madre con i suoi arti e organi malati (“madre-braccio”, “madre-occhio”), Mattia stesso si fonde con il suo strumento: diventa “una videocamera di carne”. Finché il bambino che è in lui compie, forse per la prima volta, il passaggio dal visivo al verbale, dalla proiezione all’introiezione. Riuscirà così ad andare avanti assumendosi la responsabilità del proprio futuro e l’onere del proprio dolore.

Se ci pensa bene, se ci riflette con attenzione, Mattia sa che quel momento è perfetto. Lo può portare sempre con sé, lo proteggerà e lo cullerà quando avrà bisogno di protezione; gli permetterà di continuare a fare le cose. La realtà non sta nelle immagini, come ha sempre creduto, ma nelle parole. Perché sua madre è lì con lui, è viva, e se loro possono parlarsi una salvezza è ancora possibile.

Il linguaggio di Peano è semplice, diretto, ma ricco di riflessioni. L’autore ci dà la possibilità di entrare nella mente del protagonista incorniciandone il pensiero tra parentesi. La storia è narrata in terza persona, ma è evidente la sovrapposizione tra narratore e personaggio. Si avvicendano, nella narrazione, momenti di alta carica emotiva e descrizioni fredde e neutre (liste di nomi tecnici, di malattie, liste di farmaci…), per mostrare la spaccatura tra l’interno e l’esterno, tra chi esperisce la sofferenza in prima persona e chi, osservandola dal di fuori, la immagina appena. Il divario tra ciò che accade “al di là” del muro, al di qua del corpo di un malato terminale e la vita che fuori scorre imperterrita e noncurante, è il fulcro delle pagine più struggenti.

L’invenzione della madre è un’opera la cui lettura può fare male, ma se non ci si lascia sopraffare dalla tristezza, vi si può cogliere un invito a vivere più intensamente. È un libro che si può scegliere di non leggere ma è comunque una storia che andava raccontata, che dà voce ad un vissuto intimo, che apre la porta per mostrare, senza sconti e senza iperboli, come si dice addio a chi si ama. 

 

PeanoL’invenzione della madre
di Marco Peano
Minimum Fax (collana Nichel)
Anno 2015
p.252
€ 14,00
Disponibile anche in eBook

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