FRANCO FORTINI (10 settembre 1917 – 28 novembre 1994)

FOGLIO DI VIA

Dunque nulla di nuovo da questa altezza
Dove ancora un poco senza guardare si parla
E nei capelli il vento cala la sera.

Dunque nessun cammino per discendere
Se non questo del nord dove il sole non tocca
E sono d’acqua i rami degli alberi.

Dunque fra poco senza parole la bocca.
E questa sera saremo in fondo alla valle
Dove le feste han spento tutte le lampade.

Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.


LA BUONA VOGLIA

Voglia mi prende d’una buona ragazza
Docile, che non faccia tante storie,
Di bianche cosce e di poppe tranquille.

Quando soffia la stufa e nel camino
Fa lume rosso il fuoco e fuori è sera
Sulla neve dei boschi e dei paesi
E piano piano filano i torrenti.

Io guarderei le braccia tonde e i gomiti
Svincolando le sottovesti e oh bella
Con qualche riso la treccia che cade!

Di me contenta, io contento di lei,
Mi direbbe con una voce saggia:
«Stai un po’ buono» – e anche vorrei
Che parlasse senese o perugino.

Molte cose mi dimenticherei
Se avessi con me quella buona ragazza spogliata
Con le due braccia lisce sul cuscino
Un poco addormentata e un poco sveglia


LA GIOIA AVVENIRE

Potrebbe essere un fiume grandissimo
Una cavalcata di scalpiti un tumulto un furore
Una rabbia strappata uno stelo sbranato
Un urlo altissimo.

Ma anche una minuscola erba per i ritorni
Il crollo d’una pigna nella fiamma
Una mano che sfiora al passaggio
O l’indecisione fissando senza vedere.

Qualcosa comunque che non possiamo perdere
Anche se ogni altra cosa è perduta
E che perpetuamente celebreremo
Perché ogni cosa nasce da quella soltanto.

Ma prima di giungervi
Prima la miseria profonda come la lebbra
E le maledizioni imbrogliate e la vera morte.
Tu che credi dimenticare vanitoso
O mascherato di rivoluzione
La scuola della gioia è piena di pianto e sangue
Ma anche di eternità
E dalle bocche sparite dei santi
Come le siepi del marzo brillano le verità.


ALTRA ARTE POETICA

Esiste, nella poesia, una possibilità
che, se una volta ha ferito
chi la scrive o la legge, non darà
più requie, come un motivo
semi modulato semi tradito
può tormentare una memoria. E io che scrivo
so ch’è un senso diverso
che può darsi all’identico
so che qui ferma dentro il verso resta
la parola che senti o leggi
e insieme vola via
dove tu non sei più, dove neppure
pensi di poter giungere, e cominciano
altre montagne, invece, pianure ansiose, fiumi
come hai visti viaggiando dagli aerei tremanti.
Città impetuose qui, sotto le immobili
parole scritte tue.

 


TRADUCENDO BRECHT

Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela,
guardando
ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.

Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro. ma scrivi.


AVESSI STUDIATO

Avessi studiato da giovane
quand’ero pazzo di me.
Non avessi sciupato il tempo
e non so nemmeno perché.
Non avessi creduto nel mondo.

Me lo disse una donna spettro
a Milano nel Quarantatré
mentre bruciavano le strade
il fumo faceva tossire
e per quello che non si vedrà
si cominciava a morire.

Una donna terribile come
una furia «Bada» mi disse
«tu credi troppo al domani».

Ma troppo parevano belle
le ragazze le vive mani
sul nero delle rivoltelle
i pianti la libertà.

Oggi sarei come il buon Cases
come Folena come Caretti
che conoscono i doveri,
ordinari, autori seri
cui si schiudono i libretti
degli esami nei bui chiostri
delle dolci università.

Avessi studiato da giovane.
Non sapessi la verità.


LUKÁCS

Le scarpe pesanti il gomito sui libri
il sigaro spento non per il dubbio
ma per il dubbio e la certezza
nell’ultima foto
dall’altra parte del vero
occhi smarriti guardandoci.

Alle sue spalle guardiamo i libri deperiti
i tappeti il legno gotico
del San Martino a cavallo
che si taglia il mantello
per darne metà al mendicante.

Gli uomini sono esseri mirabili.


SABA

La mattina di luglio
e a volo l’acqua della manichetta
va su gradini e foglie
e là di certo contenta mia moglie
allegra agita lo scintillìo…

Va la memoria ad un verso di Saba.
Ma ne manca una sillaba. Per quanti
anni l’ho male amato
infastidito per quel suo delirio
biascicato, per quel rigirìo
d’esistenza…

E ora che riposano
il suo libro e il mio corpo
indifferenti
come un sasso o una pianta
o una invincibile ombra nel bosco
(nel vuoto il sole s’avventa
e un’iride ne grida) riconosco
con lo stupore di chi vede il vero
lunga la poesia, lungo l’errore.

Parevi stanca, parevi ammalata
ma t’ho riconosciuta, io che t’ho amata.

 

Franco Fortini, Tutte le poesie a cura di Luca Lenzini — Mondadori
Franco Fortini, Poesie scelte 1938-1973 a cura di Pier Vincenzo Mengaldo — Mondadori

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