MICHAEL MIO‭ ‬di Amos Oz‭

Il romanzo Michael mio segnò, nel1968, l’accesso di Amos Oz alla celebrità, nella cittadella della letteratura moderna, che mantenne per tutta l’esistenza.

L’autore racconta in prima persona la vita famigliare di una coppia di israeliti osservata dal punto di una donna: Hannah narra la sua esistenza, il suo matrimonio incastonato nel solido delle convenzioni indotte dall’appartenenza, dai riti religiosi, dal pensare comune, dal conformismo. Hannah anestetizza i propri sogni per poterseli estirpare e conformarsi a un certo ideale di donna, soprattutto smette di studiare Lettere per consentire al marito di portare a termine i suoi studi di Geologia, e poi l’arrivo del primo figlio ridimensiona ulteriormente lo spazio del possibile.

Con maestria Oz si cala dentro la sua eroina, anzi, diviene la sua eroina intenta a studiare, quasi biologicamente, i tratti caratteriali del marito, Michael, completamente assorbito dal dover essere e del tutto ignaro del volere essere suo e della moglie: un uomo a una sola dimensione, quella del rispetto delle regole storicamente fissate e del sogno di una carriera universitaria.

Un uomo in fondo banale chiuso in un angusto e avaro spazio vitale, preda sovente di un mutismo viscerale, che ha facilità di comunicazione solo con il figlio, che sta sagomando a sua immagine e somiglianza e con la sua famiglia d’origine – le cui aspettative si sente obbligato a soddisfare – ma che non percepisce il lento erodersi della capacità di Hannah di gioire della vita. Comincia così, nella donna, un lento ma inarrestabile crepuscolo fatto di rancori malcelati e orribili incubi notturni.  Hannah sente di volere ancora bene a Michael ma i due ora sono assisi su due lontanissimi atolli alla deriva dell’oceano.

I giorni sono tutti uguali. anch’io sono sempre la stessa. Eppure c’è qualcosa che non lo è… Io e mio marito siamo come due estranei che s’incontrano all’uscita di una clinica dove sono stati sottoposti a qualche trattamento sgradevole.

Il loro è un duello all’arma bianca, un cozzo di spade, un parare, arretrare e tornare ad avanzare nel tentativo, vano, di una stoccata vincente che risolva l’impasse e li liberi dall’arrocco che ognuno ha nel proprio ego: di pura melanconica passività, lui, di resistenza all’apatia tramite il sogno, lei. Michael non si lascia mai andare, in lui la razionalità non è bussola per l’azione ma anestetico.

Quando mi abbracciava Michael era forte ma controllato. Forse era timido…. Anche la sua stretta era forte ma non insistente.

E Hannah, chi è Hannah, nel segreto dei suoi sogni? Un’idealista, una persona per la quale lo spirito è più reale e concreto dei sassi, l’alchimia del sogno e la nostalgia del non provato più forti d’ogni convenzione. Casta come Ophelia ma preda di quei sogni che in Emma Bovary, divenuti gesta, sono tentativo di dipingere la propria vita che diviene, invece, anticamera del suicidio.

Intanto nella pozza stagnante che è la vita di Hannah e Michael cade la tempesta d’un temporale improvviso: scoppiano le tensioni del1957 tra Israele ed Egitto e lui è chiamato alle armi. Per Hannah sembra, paradossalmente, un evento potenzialmente foriero della luce d’una nuova alba: Michael che scosso dalla vita, finalmente, esce dal suo bozzolo e lei, rimasta sola, che si concede, nel sogno, improbabili avventure erotiche come fuga dalla realtà. Poi la guerra finisce, lui torna a casa e la vita riparte, cupa e piatta, come prima, peggio di prima. Tutto è banalità, anche la tragedia e la letizia, ridotte a normale routine: la morte degli anziani, le nuove nascite, la malattia; tutto diviene un lago indistinto in cui l’acqua non s’increspa mai. Questo è l’habitat che segna il punto di discontinuità in Hannah, la sua mente vola via, il sogno fugge, quel che resta è solo il corpo.

Ora gli dico addio.Non mi sento coinvolta.Mi arrendo…ora ho aperto gli occhi.Addio Michael.Io rimarrò alla finestra a tracciare disegni sui vetri appannati.Se ti fa piacere potrai pensare che io ti stia salutando.Non sarò io a disilluderti.Ma io non sono più con te…

Oz è un maestro nel descrivere la tela psicologica che invischia i due personaggi, tra i dozzinali meriti di lui, tutto attento a sembrare più che a essere, le frustrazioni, il disincanto di lei di fronte alla mediocrità del marito. Paradossalmente, lei avrebbe accettato anche il risvolto d’uno spirito più acceso: lo avrebbe preferito infingardo, pronto a cogliere il frutto della vita, in tutti i suoi risvolti, anche volando sulle nubi con la sua avvenente compagna di studi, ma Hannah non crede che: “…Michael andasse oltre qualche timido pensiero o congettura…”. Non lo crede più capace neppure d’un sogno.

L’autore ci spiega che esistono anche amori che non danno la felicità, sono quelli affogati nel realismo, nel conservatorismo bigotto, nell’algido tornaconto di breve periodo, insomma in quei labirinti psicologici atti a reprimere il sogno, la capacità di astrarre dal reale: questa metafisica è il colore e l’ossigeno dell’amore che senza d’essa muore. Come muore in Hannah.

MICHAEL MIO
Amos Oz
Trad. Rosy Molari
Feltrinelli (Universale Economica)
pp. 272
euro 9.50

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