GIORGIO MANGANELLI (15 novembre 1922 – 28 maggio 1990)

Io non ho prova della mia esistenza
se non per questo
dolore continuo dell’orecchio,
una lettera d’amico,
il gusto denso della birra
contro le gengive.
Fuori del sigillo
della paura ininterrotta
non ho altro indizio
della mia continuità.

 

Non c’è, contro la passione della morte,
divertissement più perfetto
d’una consuetudine di donna:
ché questo importa:
contro l’adulterio dell’addio
lavorare una storia
di frammentarie fedeltà;
coltivare il vizio
di una permanenza provvisoria,
la volontà affettuosa dell’errore.

 

Non tenterò più di risolvere
le contraddizioni del mio sangue
in una esistenza funzionale:
né di catalogare il mio disordine
in archivi razionali;
propone diversi
più esaurienti sillogismi
l’onesta dialettica
della lenta malattia:
imparo a memoria
una imprevedibile chiarezza
dentro il mio corpo che decade.

Fino a che muoia
porterò attorno
il mio corpo approssimativo:
mi abituerò al mio peso,
ai miei gesti inesatti;
alle conclusioni che maturano
nella mia forma frettolosa:
ma nello sghembo insistere
dei miei gesti malati
trovo una ilarità domestica, un’allegria.

 

S’io, come voglio, deducessi
da me stesso la mia sorte
accettando le argomentazioni
del mio essere qui,
della mia assenza,
brucerei l’intervallo
del lento sillogismo
nella precisione della morte.

 

Desideravo vederti:
desidero la fantasia dei tuoi capelli
a inaugurare grida
di libertà in ore troppo lente; la rivolta
dei tuoi polsi terrestri
che muovono inizi di bandiere,
e accusano l’indugio, la disperazione
cauta, il tempo.
Mi occorre l’urlo d’uno sguardo
ed oltre la violenza del tuo esistere
io esigo il gesto d’un tuo riso.

 

Chissà non trovi tregua
l’anima girandola
un giorno, e in una pausa
getti le mani indietro
in traccia d’un origine
qualsiasi, una
genealogia posticcia,
un sacramento araldico:
che più sgomenta dell’incertissimo futuro
il passato assente.

 

Un uomo che è pieno di morte
vuole essere ben vestito,
sceglie liquori fini
si offre costantemente
l’ultima sigaretta
(io non fumo)
o cognac francese, di gran marca.
L’uomo che è pieno di morte
ha una sua grandezza di gesti,
una allegria, una cordialità
del suo effimero corpo;
è buon conversatore;
ma è il freddo, il freddo che lo insulta.

 

Permane l’indizio dell’ustione
sopra gli oggetti conglobati
nei gesti innamorati,
resi significanti
dalla semiotica violenta
dei corpi degli amanti;
quando è risoluto il centro
che impose ritmo e tempi ed orbite,
ancora, morti, ruotano
rapinosi, gli oggetti disseccati
– bicchieri, sedie, appuntamenti, lapsus –
transitano il marasma dello spazio.

 

Giorgio Manganelli, Poesie a cura di Daniele Piccini. Postfazione di Federico Francucci — Crocetti

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