ROSEMARY’S BABY di Ira Levin

«Nessuno, nessuno al mondo ha un fuoco come questo, stasera», esclamò Guy. Rosemary, in ginocchio e col bicchiere in mano, fissando il carbone che crepitava, avvolto dalle fiamme, disse: «Non è una meraviglia? Spero proprio che avremo l’inverno più freddo di tutto il secolo».

Non importa quante storie si raccontino sul Bramford: i Woodhouse non credono alle superstizioni. Chi lo dice che quello ritrovato pochi anni prima nello scantinato del condominio, avvolto dalla carta di giornale, fosse davvero il cadavere di un bambino? E, inoltre, in tutta l’America ogni giorno migliaia di persone si tolgono la vita… che importanza ha che molti di questi suicidi siano avvenuti dalle finestre di quel palazzo? Al Bramford il tempo sembra immobile: le facciate di mattoni, i finestroni e le statue gotiche non cedono alle oppressioni dell’acciaio e del vetro tipici del modernismo, rendendolo il palazzo più ambito di New York. Quando uno degli appartamenti viene liberato dalla morte della sua anziana proprietaria, i Woodhouse non possono lasciarsi scappare l’occasione.

Guy e Rosemary sognano di abitare al Bramford da sempre. Da poco sposati, vivono delle più rosee speranze per il loro futuro: Guy lavora sodo per portare la sua carriera di attore accanto a quella delle star di Hollywood e Rosemary, invece, impiega le sue energie per essere una moglie perfetta. lei sogna di diventare madre. Una madre al Bramford. È così che Guy e Rosemary, decisi a non lasciarsi impressionare, affittano il loro appartamento-gioiello. La vita scorre, la carriera di Guy impenna e Rosemary è coccolata degli anziani vicini di casa. Quando essi vengono allietati dalla meravigliosa notizia della dolce attesa della coppia, le premure aumentano. Rosemary non è quasi mai sola. Nei rari momenti di respiro è la gravidanza a toglierle la quiete, causandole dolori lancinanti. La notte è infestata da incubi tanto reali da farla vivere nella paura anche alla luce del giorno. Perché sente che qualcosa le sta sfuggendo? Forse, talvolta, non bisognerebbe diffidare delle superstizioni.

Di sotto si trovava un’enorme sala da ballo nella quale c’era, da un lato, una chiesa avvolta in fiamme indomabili e, dall’altra, un uomo con la barba nera che la fissava. Al centro c’era un letto. Vi si diresse e vi si distese e all’improvviso fu circondata da uomini e donne nudi, una decina o una dozzina, in mezzo ai quali c’era Guy. Erano tutti anziani e le donne erano grottesche, con i seni afflosciati.

Ira Levin, con il suo Rosemary’s Baby ha dato vita ad un immaginario tra i più psicologicamente disturbanti che si possano trovare in letteratura. Non solo orde di lettori si sono lasciate trascinare in questo vortice d’inquietudine: anche un giovanissimo Roman Polanski non ha saputo resistervi, dando al romanzo l’altrettanto celebre adattamento cinematografico. Quello che traspare leggendo le pagine di Ira Levin non ha nulla a che fare con il più comune ‘horror’. Non ci sono fantasmi ad infestare gli appartamenti del Bramford. Non ci sono scale che scricchiolano. Le porte non si aprono da sole e gli oggetti non fluttuano. L’orrore si nasconde dietro l’eterna lotta tra le forze del bene e quelle del male che esercitano le proprie influenze sugli uomini. La paura che ne scaturisce deriva proprio dalla lucidità della narrazione. Ossessioni e tormenti che trovano fondamento nel satanismo e nel mistero dell’occulto. È lo stile di scrittura a favorire la creazione di ‘scene’nella mente del lettore, risultando scorrevole e descrittiva solo nei dettagli essenziali. Ambientazione e sensazioni sono a discrezione del lettore, arricchendole nel suo immaginario con ciò che più lo spaventa. Insieme a Rosemary, anche noi temiamo per la sua incolumità e cerchiamo il senso di ciò che ci sta sfuggendo. Per fare questo è necessario osservare ogni dettaglio, guardare dietro ogni porta e, soprattutto, diffidare di chi è fin troppo trasparente.

Quando sarai più grande ti renderai conto che gli atti di gentilezza sono pochi e lontani in questo nostro mondo.

ROSEMARY’S BABY
Ira Levin
Trad. Attilio Veraldi
Sur (BIGSUR)
pp. 253
euro 16.50

 

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