IL PASSEGGERO di Cormac McCarthy

Finalmente è uscito anche in italiano (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli) Il passeggero, il nuovo romanzo di Cormac McCarthy, il primo dopo il successo planetario de La strada.

La trama, come sempre in questo autore, è assai meno importante sia dei temi che sostengono i piani narrativi, sia del linguaggio.

Il racconto è un sostanziale dittico, un ping-pong tra le vicende di Bobby e Alicia, un fratello è una sorella, figli di un fisico che ha collaborato con Oppenheimer al progetto Manhattan che portò alla bomba atomica. Bobby, fisico di buon livello ma non geniale, si ricicla in infiniti altri lavori, da pilota nelle corse di automobili fino a quello di sommozzatore; Alicia, genio della matematica, quindi del linguaggio, ma preda dei fantasmi del non linguaggio con cui è tessuta la schizofrenia di cui è preda, finisce suicida. Tra loro il totem e tabù dell’incesto: McCarthy a rapporto dal suo padre spirituale Faulkner, nel crogiolo del liquefarsi dei rapporti famigliari nel Sud degli Stati Uniti, illuminato dal riverbero della decadenza morale.

… era rimasto seduto a guardare sua sorella che interpretava Medea sola sul pavimento della cava… Aveva tredici anni. Lui era al secondo anno di specializzazione al Caltech e quella sera d’estate guardandola aveva capito di essere perso. Il cuore in gola. La vita non più sua.

Durante l’ispezione a un relitto di un aereo inabissatosi in mare, Bobby s’avvede che tra i cadaveri ne manca uno, chi è il passeggero (mancante) che dà il titolo al libro? Perché le autorità, nel silenzio del segreto di Stato, cercano una pista incapaci di mettere ordine nel caos? Comincia un gioco a rimpiattino con i “poteri forti” che presumono che Bobby sappia molto più di quanto in realtà non sia: gli stanno tutti alle calcagna, compresi quelli che noi italiani chiameremmo i “servizi deviati”, e lo inducono a una fuga picaresca attraverso e dentro una America che mostra la sua faccia nascosta, fatta di macchine detonanti e scarburate, donne disperate ma rese irresistibili dalla tragedia, beoni, clochard, ex-borghesi che la crisi ha spinto alla migrazione di classe: una collezione di personaggi degni di Shakespeare. Nell’ultimo capitolo, che non è un finale, ritroviamo Bobby spiaggiato, come la metafora del fallimento esistenziale di un moderno Moby Dick, sull’isola di Formentera, nell’inedia del rimorso che si fa rimpianto: ci sembra quasi di sentirlo motteggiare, con Bartleby, l’altro (anti) eroe di Melville, “preferirei di no”, quale che sia la proposta, no! A ogni genere di istanza etica, no!

In parallelo a Il passeggero, l’autore ha scritto anche la narrazione dal punto di vista di Alicia, Stella Maris, che in Italia uscirà a settembre.

Questa la trama, ma l’opera è molto di più della storia narrata.

In primo luogo, il tema della coerenza tra l’irrazionalità, anzi la patologia psichiatrica, e l’assiologia del linguaggio, specie quello matematico: Alicia persa in un mondo alternativo alla kantiana cosa in sé, è preda delle immagini mentali declinate dalla schizofrenia, cui nessuno riesce a strapparla, ma al contempo si nutre del linguaggio deduttivo della matematica pura; perché queste due polarità in McCarthy non sono incoerenti? In primo luogo, perché, come Lacan ci rammenta, l’inconscio è strutturato come un linguaggio: discontinuo, frammentato, ma linguaggio. In secondo luogo, in quanto tale discontinuità è la stessa di cui si nutre la matematica, di cui Gödel ha mostrato le lacune in termini di indecidibilità e incompletezza. Infatti, Alicia, in più punti del libro, conversando con i personaggi generati dalla sua patologia, ammette che il suo metodo matematico non è, anzi non può essere, quello deduttivo, implicante l’utilizzo nel continuo degli assiomi, ma prevede salti logici oltre il dirupo delle discontinuità. Nei metafisici colloqui con il non-essere della schizofrenia, la tessitura rimanda a una forma di flusso di coscienza volto a indagare il linguaggio tramite il linguaggio, creando così un russelliano meta-linguaggio. Secondo McCarthy la matematica è più una forma d’arte che non l’ambito del raziocinio: la razionalità è, quindi, necessariamente limitata e il suo confine con la patologia può essere labile!

Quello che scrivi si fissa. Acquisisce i limiti di qualsiasi entità tangibile. Precipita in una realtà alienata dall’ambito della creazione… non so come si faccia la matematica. Non so se c’è un modo. L’idea resiste sempre alla propria realizzazione…. E questi dubbi hanno origine nello stesso mondo dell’idea. E quello è un modo al quale non si ha davvero accesso.

Il secondo tema è quello della non-intelligibilità delle scelte morali, esse non sono riconducibili a un incastro causa-effetto, né sono spiegabili deduttivamente, vi è un deficit nel linguaggio che non lo consente, ciò che è è qualcosa più di ciò che è! Ancora Gödel: vi sono preposizioni sulla vita, come su qualsiasi cosa, indecidibili, sono vere o false? Semplicemente non sappiamo.

Nel romanzo il controcanto alla schizofrenia di Alicia è il linguaggio intermittente, smozzicato, discontinuo, senza conclusioni, utilizzato dall’autore: da un punto di vista tecnico l’aspetto più rilevante dell’opera. Questo forma linguistica è funzionale alla letteratura che deve sollevare il sasso e mostrare cosa vi sia sotto, la natura del problema, ma non è chiamata alla risoluzione, compito la cui articolazione spetta all’epistemologia; conclusione: in linguaggio della letteratura non solo può non essere conclusivo, di più, non lo deve essere! Questo c’insegna McCarthy.

Infine, c’è il centro morale del racconto: da una parte un potere statale distopico e oppressivo, dall’altra il tabù (infranto) dell’incesto. Non potendosi basare sul potere della razionalità, sul rigetto del pensiero metafisico, il dispositivo coercitivo della morale ne risulta inceppato, non si potrà più dire né così, né cosà, nessuno potrà più avere il monopolio della Verità. Come c’insegna Habermas, si deve abbondonare la narrazione della modernità, della ragione, come disincanto, come abbandono, come totale cesura con il pensiero magico, questo convive con quella nel rapporto tra morale e razionalità.

Tu credi che ci siano cose che Dio non permetterà, aveva detto lei. Ma lui non lo credeva affatto.

In un mondo tessuto con la contumacia della Parola, con il deficit del linguaggio, neppure Dio avrà nulla da dire, o meglio potrà dire solo meno di tutto ciò che sarebbe necessario, proprio adesso che solo un Dio ci può salvare, con la sua presenza o con la sua latitanza.

IL PASSEGGERO
Cormac McCarthy
Trad. Maurizia Balmelli
Einaudi (Supercoralli)
pp. 392
euro 21

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