L’OTTAVA VITA (PER BRILKA) di Nino Haratischwili

L’ottava vita (per Brilka) è un romanzo di Nino Haratischwili, scrittrice e drammaturga nata a Tbilisi, in Georgia, nel 1983 ma che vive in Germania e scrive in lingua tedesca. Il suo romanzo profuma del “grande romanzo storico” dell’ottocento, con l’eco evidente di Guerra e pace contaminato con pillole di “sano” realismo magico à la Marquez, tra pozioni metafisiche (la cioccolata, ricetta miracolistica del capostipite, stigma della speranza e della morte) e morti che ricompaiono imperterriti a suggerire la vita ai vivi.

La storia cavalca e scollina il cosiddetto secolo breve: dal 1900 al 2007. L’occhio del lettore vede: la prima guerra mondiale, la rivoluzione d’ottobre, la guerra civile nell’URSS, la seconda guerra mondiale, la guerra in Vietnam, Michail Gorbaciov e la sua perestroika, il disgregarsi dell’URSS e la nascita della repubblica della Georgia.

Il libro è per alcuni versi profetico: per capirlo, basta accettare la chiave di lettura dell’isomorfismo tra movimento centrifugo e contro-movimento centripeto di una famiglia georgiana e dinamica disgregativa delle repubbliche sovietiche, seguita dall’attuale tentativo putiniano di ricostruzione dell’Unione.

Quindi la metafora della grande Storia del secolo del comunismo – almeno quello concreto, quello sognato da Marx forse era un’altra cosa – è mimata con l’intreccio delle piccole storie dei membri di una famiglia, avviluppati come a formare un drappo:

Tu sei un filo, io sono un filo, insieme formiamo un piccolo ornamento, e insieme a molti altri fili formiamo un motivo. I fili sono tutti diversi, diversamente grossi o sottili, tinti con diversi colori. Se li prendi singolarmente i motivi sono difficili da distinguere, ma se li osservi legati l’uno all’altro rivelano storie fantastiche.

Il racconto comincia in Georgia, nei primi anni del novecento: in un piccolo borgo vicino a Tbilisi, una sorta di apprendista mago inventa una ricetta per fare una cioccolata portentosa, nessuno vi resiste. Ma la bevanda è la metafora dell’occultarsi della verità, del vivere nel sogno, e questo processo di soppressione del reale è pericolosissimo: in molti casi provoca eventi che inducono alla morte.

Io avevo ancora quel sapore divino in bocca, ma iniziavo a sentire un retrogusto di tristezza. Qualcosa di quel sapore mi aveva messo paura. Mi aveva lasciato molto domande sulla lingua.

Stasia, la figlia del fabbricante di cioccolato è uno dei personaggi chiave del libro, vuole diventare ballerina: appena adolescente è già molto anticonformista, detesta il mondo tardo-feudale della Georgia e sogna Parigi. Il padre, invece, come tutti i padri, desidera vederla sposata: riesce a farla incontrare con Simon Jashi, un ufficiale che con una corte leggera e soave fa innamorare Stasia; i due si sposano mentre il mondo è scosso dal sisma della Grande Guerra: Simon è chiamato a San Pietroburgo. Mentre scoppia la rivoluzione d’ottobre, e il mondo non sarà più lo stesso, Stasia incontra Sopio Eristavi, madre di Andro, anticonformista, antistalinista, che – finendo in un lager – affida il figlio a Stasia che l’accoglierà come proprio.

L’altra figlia del fabbricante di cioccolata è la bellissima Christine, che pare essere interessata solo al lusso: sposa un uomo politico vicino al cosiddetto “Piccolo Grande Uomo”, si tratta di Berija – mai citato esplicitamente nel libro – despota sadico e sanguinario che diverrà uno tra gli uomini più importanti del regime comunista e che, assettato di sesso, perde la testa per la bella Christine e la seduce, finché il marito, che si avvede della tresca, dopo una notte di folle amore le deturpa il volto con l’acido e poi si uccide.

Kostja, primogenito di Stasia e Simon, ha come obiettivo seguire le orme del padre, perciò s’iscrive all’Accademia militare a Leningrado; intanto scoppia la seconda guerra mondiale. La disciplina trasforma Kostja in una sorta di automa, con pochi scrupoli e mosso solo dalla sete del potere. Condannerà all’esilio la sorella Kitty, che aveva avuto una relazione con Andro, collaborazionista con i tedeschi e antistalinista: Kitty viene anche torturata dagli agenti bolscevichi e indotta ad abortire il figlio di Andro. All’estero Kitty diventerà una famosa cantante ma la sua vita sarà per sempre condizionata dall’omicidio, compiuto per vendicare le angherie subite, di un membro dei servizi russi. Dopo un lungo errabondaggio erotico, durante il quale le donne sono solo corpi anonimi, Kostja si sposa con Nana e dal loro rapporto nasce Elene, che le vicende della vita, il difficile rapporto con il padre, spingono verso la deriva dell’acredine contro tutti. Cinica e vendicativa è uno dei personaggi femminili più foschi del libro.

Non sapeva cosa fare di sé stessa. Di notte usciva di nascosto, passeggiava in giardino, fumava di nascoste le sigarette di Stasia, si mangiava le unghie, fissava smarrita la notte e cercava un modo per essere qualcun altro, una persona qualsiasi ma non sé stessa. Dove aveva sbagliato, a quale bivio aveva preso una strada che non era la sua e qual era la sua strada?

Durante una sorta di lotta che degenera in sesso, Elene “costringe” a un rapporto il figlio di Andro e rimane incinta di Daria; poi, s’infila nel letto di un gaudente giovanotto, evento che genererà Niza, la voce narrante. Da Daria nasce invece Anastasia che per sé sceglie il nome di Brilka: quando scappa da ovunque, ma più di qualsiasi cosa da sé stessa, in realtà lo fa per raggiungere la zia, atollo di libertà in un arcipelago di costrizione; è il momento del ritorno ideale, del nostos.

Ma è chiaro. Voleva venire da te, Niza. Sperava che tu la aiutassi… ti ho cercata con tutti i miei sensi, Brilka. Con tutti i miei sensi volevo trovarti. Perché ero tornata e avevo portato con me te tue canzoni e avevo scritto il tuo libro.

Le protagoniste del libro sono le donne, gli uomini hanno un ruolo ancillare, eppure sono solo loro a detenere il potere. Tutto comincia con la bisnonna della voce narrante, Stasia la Eva biblica di cui Niza ritiene che:

Grazie a lei ho potuto liberarmi di molte condanne come di abiti fastidiosi, e grazie a lei ho potuto spezzare false aureole. Devo tutto questo e anche molto altro a Stasia, con la quale tutto ha avuto realmente inizio…

La narrazione è tutta basata su due movimenti, che nella rappresentazione dell’autrice descrivono la vita della Donna: un movimento di fuga per la tangente, di allontanamento dalle proprie radici, e un contro-movimento di segno opposto, d’implosione verso l’origine. Il primo è dettato dalla maternità, spesso anticamera dell’incubo (matrimonio obbligato, stupro, casualità, pentimento), il secondo dal principio del desiderio del ritorno all’inorganico, alla radice delle cose, per dirla con Freud (Al di là del principio del puro piacere).

Soprattutto il libro è organizzato sulla metafora della vita delle persone come ritratto di quella dell’URSS: le vite si sgretolano con un atto di violenza, di solito sessuale e si manifesta la diaspora, così come la crisi crea la forza centrifuga che distrugge lo stato.

La saga termina quando l’ultima donna, Brilka, briga per convergere verso la vita di Niza: la dinamica storica, la concezione hegeliana del dio che si storicizza e diviene spirito ha il suo reductio ad absurdum: la sintesi coincide con la tesi, si torna all’origine, come in un folle e inutile lancio di dati nel gioco dell’oca.

Quindi, nascosto tra le oltre mille pagine del libro sembra esservi un presagio, forse più funesto che benigno, di riunione dei popoli della ex URSS; questa lettura è anche avvalorata dal giudizio non proprio positivo sulla fine dell’Unione, su Gorbaciov e la perestroika: la figura dello statista è quella di un sanguinario impegnato a reprimere il tentativo indipendentista in Georgia, mentre a Ovest lo considerano un liberatore; il romanzo narra dei fatti del 9 aprile 1989, con il massacro di Tbilisi, quando una dimostrazione anti-sovietica venne stroncata dall’Armata Rossa, causando venti morti e centinaia di feriti.

L’OTTAVA VITA (PER BRILKA)
Nino Haratischwili
Trad. Giovanna Agabio
Marsilio
pp. 1148
euro 24

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