Oggi esce il nuovo romanzo di Marco Franzoso, L’innocente.
Marco Franzoso è uno scrittore che ho sempre apprezzato molto, fin dai tempi dei suoi primi romanzi più scanzonati come Westwood dee-jay a quelli più intimi che lo hanno portato a indagare la tematica dei rapporti famigliari difficili: una moglie madre che si allontana volontariamente dalla famiglia in Tu non sai cos’è l’amore, una moglie madre che arriva quasi a uccidere il figlio ne Il bambino indaco, una moglie madre che abbandona la famiglia e un padre che si trova solo col figlio a doverlo crescere ne Gli invincibili.
C’è sempre un figlio in queste storie, ma il punto di vista è quello dell’adulto.
In questo nuovo romanzo invece c’è Matteo, un bambino di dodici anni orfano di padre. E’ lui a raccontarci questa storia, la sua storia e lo fa nell’arco di una giornata intera in cui tutto cambierà e diventerà “grande” suo malgrado: dal momento in cui si sveglia, al viaggio in auto accanto alla madre dal paesino di campagna in cui vive verso la città dove lo aspetta il confronto col Giudice per fare chiarezza su un presunto abuso avvenuto due anni prima, al ritorno a casa.
Al buio le lancette della sveglia sembravano due piccoli
neon che illuminavano le api e le rondini disegnate sul
quadrante. Matteo strinse il cuscino con le mani e vi affondò
la testa. Tic.
Chiuse gli occhi e contò i secondi. Quattro. Cinque. Sedici.
Li riaprì per vedere lo scatto in avanti della lancetta
dei minuti, ma come sempre aveva atteso troppo e il piccolo
neon fosforescente adesso stava lì, più in alto, di nuovo
immobile. Era un gioco che faceva con suo padre. Tac.
Matteo non era mai riuscito a cogliere quel movimento,
ma da un po’ aveva imparato a non prendersela perché
nella vita, come gli aveva insegnato suo padre, non
serviva. Quando era bambino lui, diceva, non c’era tempo
per prendersela o starci male, e infatti i bambini erano
più svegli, non c’erano tutte queste comodità che avevano
rovinato la gente. «Dovevi arrangiarti, ed era giusto così,
altrimenti erano affari tuoi» ripeteva. «Siamo in guerra,
vecchio mio, è meglio che ti dai una mossa.» Tic
…
«Ricordati, Matteo» diceva, «nella vita sono importanti
tre cose.» Si fermava ancora, gli metteva una mano
sulla spalla e stringeva per fargli capire che gli voleva
bene, e che quelli erano gli insegnamenti fondamentali
di un padre. «Tre cose, hai capito? Misurare, scavare e
poi dimenticare.»
Matteo è in guerra e deve dimenticare. Così inizia il romanzo e questo è il suo fulcro.
Sopravviverà Matteo a questa guerra? Riuscirà a dimenticare?
Matteo ha perso il padre in un incidente stradale qualche anno prima, la madre fa fatica a riprendersi, piange spesso, e riversa sul figlio la debolezza e l’inadeguatezza ad affrontare ciò che la vita le ha riservato. Lo porta al Grest perché è stanca di lui che non l’aiuta, della sorella troppo piccola che richiede mille attenzioni, di una vita che le ha tolto tanto e dato poco.
Al Grest Matteo conosce don Andrea, il Don, come lo chiamavano tutti. Don Andrea è un prete giovane e che si confonde con i giovani, bandana in testa e maglietta dei Metallica. Al Grest Matteo troverà bambini come lui, giochi, spensieratezza e la Musica che lo farà sentire di nuovo parte di una famiglia. Ma a che prezzo?
La musica era il centro, ciò che li aveva
raccolti e li avrebbe tenuti uniti per sempre. Ma c’era anche
qualcosa d’altro, e di più profondo, che solo la musica
riusciva a portare in superficie. L’amicizia, il volersi
bene e il sentirsi parte di qualcosa, di un progetto più
grande. Il sentirsi ogni giorno a casa cercando sempre di
andare avanti, di migliorarsi, di progredire. Tanti strumentisti,
una cosa sola, come nella vita.
Le persone lì sopra con lui lo capivano, parlavano la
sua stessa lingua, avevano gli stessi obiettivi e gli stessi
valori. Erano la sua vera famiglia, sì. Anzi, era qualcosa
più di una famiglia, era fratellanza.
Matteo è un bambino che cerca amore e vuole essere apprezzato, che ha bisogno di far parte di un gruppo e di una famiglia.
La sua famiglia non c’è più, la morte del padre ha portato una mancanza che la madre non ha la forza di riempire. Ma Matteo non è un adulto, non può reagire e capire come un adulto.
La scrittura di Franzoso è quella a cui ci ha abituati nei suoi ultimi romanzi, asciutta, semplice almeno in apparenza. L’essenzialità è un punto di forza.
La vita di Matteo è raccontata attraverso continui flashback: le chiacchiere con il padre prima di addormentarsi, il gioco delle lancette della sveglia trattore, sempre con il padre nei campi quando tutto era normale e loro una famiglia felice. E poi morte del padre, l’esperienza al Grest, la band, il Don. Siamo lì accanto a Matteo mentre lui guarda dalla sua finestra e oltre; in auto con sua madre fermandoci tappa dopo tappa nei luoghi chiave della sua vita: casa sua, casa dei nonni, il patronato. Show, don’t tell. E’ un crescendo di immagini del passato intervallate da quelle del presente fino ad arrivare in città, dal Giudice, nella “stanza delle parole” dove sarà costretto a dire e a ricordare, dove il male travestito da bene imporrà ad un bambino di diventare adulto. Tutto in una giornata d’estate che l’autore definisce “la più calda del secolo”.
Talvolta una giornata cambia tutto in modo irrevocabile e il bambino che c’era ora non c’è più, ha lasciato il posto a un ragazzo con una nuova e disincantata percezione del mondo. «Misurare, scavare e poi dimenticare», soprattutto dimenticare.
L’innocente è un romanzo di formazione che affronta con grande delicatezza il tema doloroso e scottante dell’abuso sui minori non prendendo mai una posizione, non arrivando mai a dire tutto, ma lasciando al lettore il libero arbitro su questa storia. Ma forse non c’è una posizione da prendere. Dove ci vuole portare davvero l’autore? Vuole farci riflettere, non dare risposte. Qui le emozioni escono dalle pagine, si impossessano del lettore. Matteo con i suoi pensieri, la sua sofferenza, la vergogna di dover dire, la vergogna per avere detto e la vergogna per non aver potuto evitare quello che è successo dopo.
E soprattutto pensava che si vergognava di essere
lì a parlare con loro di quelle cose importanti che loro
non potevano capire. Si vergognava anche quando passava
in bicicletta davanti alla canonica e oltre la rete di
recinzione vedeva il campo sportivo vuoto e riarso dal
sole di agosto, e sapeva che era stata colpa sua. Si vergognava
di aver capito troppo tardi il senso delle parole
e di avere distrutto tutto con le sue parole, anche se
era l’ultima cosa che avrebbe voluto. Le parole, si ripeteva
alle volte, sono malate.
Dove è il confine tra ciò che è bene e ciò che è male?
Chi è il colpevole e chi l’innocente?
Io posso solo dirvi di leggere questo romanzo e ascoltare Matteo, almeno voi. Vi parlerà, ne sono sicura.
L’INNOCENTE
di Marco Franzoso
pag.156
Collana: Scrittori italiani e stranieri
Anno edizione: 2018
Pagine: 156 p., Rilegato