Fresco d’autore: Il club dei perdenti. Intervista con Giulia Rossi

Il Club dei PerdentiPremessa
Conosco Giulia da parecchi anni ormai, da quando frequentava il laboratorio di scrittura del Circolo Tobagi a Mestre nel 2014.  Da allora Giulia ha fatto molta strada nel suo percorso di scrittura, due anni fa ha pubblicato il suo primo romanzo “È così che si fa”. E oggi siamo qui a parlare del suo secondo romanzo, “Il club dei perdenti”.

Sinossi

È una gelida notte d’inverno. In una cittadina di provincia, un senzatetto dorme al riparo d’un porticato, quando un gruppo di ragazzi si avvicina e gli dà fuoco. Salvato per miracolo, il barbone viene ricoverato in terapia intensiva, ma la sua identità rimane un mistero: non ha con sé documenti e nessuno va a chiedere di lui all’ospedale. Una delle poche cose salvate dal fuoco è il suo zainetto, dove c’è una copia del romanzo del giovane scrittore Lorenzo Fabbi.
Lorenzo apprende la notizia casualmente, dal telegiornale, mentre cena. Non dà importanza al ritrovamento del suo libro: il successo è stato tale da giustificare la sua presenza nello zaino di qualsiasi sconosciuto. In seguito, però, emergono altri particolari e in lui si insinua il dubbio: quel senzatetto è davvero un estraneo o la storia raccontata nel romanzo li lega a doppio filo? Una storia ispirata all’estate di vent’anni prima, quando, per vincere la noia delle vacanze in città, Lorenzo aveva fondato il Club dei perdenti insieme con altri tre ragazzini come lui: Sara, Giacomo e soprattutto Ema, il suo migliore amico.

 

Intervista
Per me questo romanzo è un inno d’amore per il quartiere Piave, a cui anche lo dedichi. Mestre e in particolare il quartiere Piave qui diventa palcoscenico ma anche personaggio, che si muove nella Storia insieme ai suoi abitanti che vivono le storie da te raccontate. Era questo il tuo intento? Quando è nata l’esigenza di raccontare una storia ambientata nel quartiere?
Sì, sicuramente la città, e in particolare il quartiere Piave dove sono cresciuta e dove ho scelto di vivere oggi, voleva essere nel romanzo qualcosa in più di un semplice teatro delle vicende. Non è un caso forse se le due parti in cui si divide il romanzo, tra presente e passato, prendono avvio da due fatti che riguardano proprio la città: nel passato da questo gruppo di ragazzini che pensa di aver intravisto dietro al degrado di Mestre lo stesso Male, inteso proprio come entità malvagia, contenuto tra le pagine di IT. Nel presente da un fatto di cronaca che fortunatamente è solo stato immaginato ma purtroppo potrebbe essere verosimile: un senzatetto cui viene dato fuoco vicino alla stazione e la cui identità risulta un mistero, dal momento che non ha con sé documenti quando si salva dall’incendio e viene ricoverato.
Il romanzo vuole certo essere una fotografia del non sempre stato roseo delle cose qui, ma anche un atto di riscossa e un inno di amore, è vero. Si parla sempre del marcio che c’è tra queste vie, e di marcio ce ne è eccome, ma non siamo altrettanto bravi a raccontare i lampi di bellezza che si celano dietro al grigiore e ai fatti di cronaca. Bellezza che emerge forse ancor più dirompente proprio in quanto ribellione a ciò che qui non va. Come scrivo nel romanzo, appena esci dalla via principale qui c’è un mondo rionale tutto da scoprire, provinciale nel senso positivo che do io all’essere provinciale.

Parliamo del titolo, “Il club dei perdenti” che personalmente mi piace moltissimo e per chi ha letto Stephen King suona di sicuro familiare. Non è una scelta casuale questo titolo, e per chi leggerà il libro, non è solo IT che torna alla mente, ma anche un po’ il racconto The Body di King o per chi ha visto il film di Reiner “Stand by me ricordo di un’estate”. È un po’ questo il punto di partenza di tutto, dall’amicizia che nasce da ragazzini, quell’amicizia che in un periodo della vita diventa tutto e per sempre, che ti aiuta ad affrontare il mondo.
Ci parli un po’ del tuo Club dei perdenti? Di Lorenzo, Sara, Giacomo e Ema?
Il club dei perdenti viene fondato da questi quattro ragazzini appassionati di horror, dopo che una notte, per spaventarli e farsi beffe di loro, un writer ha raccontato che anche dietro al degrado di Mestre si cela una forza oscura simile a quella che si legge in Stephen King.
I ragazzini sono in quel periodo della vita in cui in effetti è tutto assoluto. Ma la vita non è sempre quella che ti immagini a dodici anni. Sono accomunati dal sentirsi tutti per motivi diversi un po’ “sbagliati” (d’altra parte, chi si sente “giusto” a dodici anni?). Si sono promessi amicizia eterna e hanno condiviso momento indimenticabili, ma li ritroviamo nel presente in modo totalmente diverso da come avevano previsto, sia come singoli sia come gruppo, visto che la vita ha finito per allontanarli.

In questo tuo romanzo si parla molto di famiglie, nelle sue varie articolazioni, di genitori sbagliati o che sbagliano, di ragazzi in difficoltà, di diverse classi sociali. Sono temi forti, alcune pagine ne sono impregnate, sembrano essere molto importanti per te, è così?
Mi piaceva l’idea di raccontare gli svariati volti che può assumere la parola “famiglia”, come un contenitore che non può essere riempito in modo predefinito e che non deve necessariamente essere associato a un concetto biologico di sangue. Mi stava a cuore inoltre riflettere sull’esatto momento di passaggio da quando si è figli a quando si diventa adulti. Si rimane figli per sempre, è chiaro, ma forse c’è un cambiamento quando cominci a guardare la storia della tua famiglia pensando a chi ne fa parte prima come persona e poi nel “ruolo” che ha per te. Ecco che certi vissuti e certi episodi vengono in qualche modo riscritti, quasi, quando ti trovi a pensare alle persone con cui sei cresciuto come persone in primis: con una storia che è iniziata ben prima di te e di cui tu fai solo parte.

Parliamo un po’ di scrittura. Questo tuo romanzo ha una narrazione composita: narrazione, lettere, articoli; c’è il romanzo di Lorenzo all’interno del romanzo stesso; rovesciamenti nella parte finale (la realtà irrompe nella finzione e la smaschera); romanzo circolare.
Qual è stato il percorso di stesura del romanzo che ti ha portato a fare queste scelte narrative?
L’idea della costruzione, intesa come struttura di trama, mi è venuta da Espiazione di McEwan. Anche lì infatti c’è l’idea di una persona che si porta dietro una colpa e passa la vita a cercare un modo per poterla espiare. Non è stato semplice l’intreccio tra presente e passato, soprattutto perché una linea temporale non doveva andare a “rovinare” ciò che nell’altra ancora non si sapeva, in un continuo gioco di equilibrio tra svelamento e non detti. Spesso in un romanzo è più difficile il territorio dei silenzi (nel senso delle cose che non vanno ancora dette o non dette mai) che quello delle parole, secondo me. Vale un po’ quello che si dice sulla scultura: un’opera è perfetta quando non c’è più niente da togliere, più che niente da aggiungere.

Il libro ricco è di dialoghi. Scrivere i dialoghi è uno degli aspetti più complesse della stesura di un romanzo. Qui dai voce a ragazzi, a persone adulte ma anche a una bambina.
Come l’hai affrontata?
I dialoghi sono una delle cose più difficili, è vero. Devo dire che rispetto ad altri aspetti su cui devo starci molto sopra, mi vengono abbastanza naturali. Forse in questo, ancora prima che i romanzi letti, mi vengono molto in soccorso i film: cerco sempre di porre attenzione proprio al ritmo dialogico e, quando un dialogo mi colpisce, lo riguardo tante volte, quasi ascoltandone il ritmo, come fosse musica. Nel mio romanzo la difficoltà maggiore relativa ai dialoghi è stata l’adeguamento del parlato alle diverse età dei personaggi. Forse è stato l’aspetto su cui l’editing di Paolo Caruso è stato più radicale, perché la parte al presente e la parte al passato in un primo momento rischiavano di essere troppo indifferenziate, come se il presente avesse finito per contaminare l’altra parte.

Quarta di copertina:
«Può un romanzo riscattare gli sbagli compiuti nella vita?
Può la vita essere all’altezza di un romanzo?»
Tu Giulia credi che la scrittura possa riscattare la vita?
Domanda da un milione di euro! Mi viene di nuovo in aiuto Espiazione, in questo senso. Credo che ognuno debba trovare un modo personale di riscatto. In Espiazione, così come nel mio romanzo, “il riscatto” (e non dico nulla di più per non rovinare la lettura) avviene tramite la scrittura perché i protagonisti sono due scrittori.  Ma come insegna la poesia “I giusti” di Borges, ci sono svariati modi di “salvare il mondo”. E non trovo ci sia scala gerarchica tra i modi, tutto sta nel trovare il proprio.

Di solito la copertina e l’incipit di un romanzo sono quelli che ci possono invogliare o meno a comprarlo se non conosciamo l’autore. Nel tuo caso, l’hai scelta tu? Cosa sta a significare per te questa immagine?
Ho proposto il titolo, che è stato accolto favorevolmente, ma la copertina non viene quasi mai scelta dall’autore. C’è stato ovviamente un coinvolgimento da parte della casa editrice e devo dire che, anche se in un primo momento nella mia testa c’era l’idea di quattro ragazzini con biciclette e skate, con il tempo ho amato quest’immagine. Anche perché c’è l’acqua a fare da sfondo e a me personalmente, con quel profilo un po’ industriale dietro all’uomo, ricorda la laguna di Venezia, con Porto Marghera alle spalle.

Anche in questo tuo secondo romanzo riprendi la tematica dei social sebbene qui con una connotazione positiva. Qual è il tuo rapporto con i social?
In effetti è una strana fatalità che nei miei due romanzi emergano due lati quasi contrapposti sui social. Forse, semplicemente, perché credo entrambe le cose: li ritengo uno strumento potenzialmente pericoloso e al contempo un megafono importante che dà un potere di espressione democratico, per così dire. Se avete voglia di sorbirvi il pippone, qui avevo scritto qualcosa sull’argomento: https://www.illibraio.it/news/dautore/vita-social-1149042/

Dopo aver scritto questo romanzo, ambientato appunto nella tua città, nel tuo quartiere, è cambiato qualcosa in te? E in generale, quanto ti cambiano le cose che scrivi.
Dando una risposta poco intellettuale, dico che viceversa quello che scrivo, semmai, è il riflesso di un cambiamento nella “vita vera”. Ecco, forse la scrittura ha la bellezza e il merito di portare in luce con maggiore chiarezza qualcosa cui nella vita si è arrivati quasi inconsciamente, senza per forza starci a pensare.

Un’ultima domanda: quale messaggio ti augureresti arrivasse ai lettori dopo la lettura de Il club dei perdenti?
Che c’è sempre tempo per un riscatto, che sentirsi sbagliati o aver fallito in una parentesi di vita non racconta la totalità delle cose. E che una volta su cento a essere degli “illusi” qualcosa si vince.

 

Giulia Rossi è laureata in Filosofia, si occupa di comunicazione e formazione in ambito digitale. Il club dei perdenti è il suo secondo romanzo, dopo il fortunato esordio con È così che si fa, entrambi pubblicati da Casa Editrice Nord.

IL CLUB DEI PERDENTI
Giulia Rossi
Casa Editrice Nord
Anno uscita 2021
Pagine 328
Euro 18.00

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