L’ERBA DELLE NOTTI di Patrick Modiano

erbaNottiLeggere un libro di Modiano è come immergersi in un sogno o come guardare un film di David Lynch: alle domande che solleva non ci si può aspettare delle risposte.

L’erba delle notti è un romanzo quasi onirico. Al centro della vicenda c’è il passato, e il sogno ne rappresenta a tratti la porta privilegiata d’accesso. Tutto è avvolto in un’atmosfera cupa e impalpabile che come una nebbia avvolge il lettore trascinandolo in una dimensione ovattata e sonnolenta. I temi della memoria, dell’oblio, del sogno si fondono e mostrano la loro parentela con l’anonimato, il mistero, la verità.

Questo romanzo è fatto di incontri che rivelano la profonda solitudine dei suoi protagonisti, dove le “vite degli altri” restano sempre impenetrabili, mentre è la narrazione ad acquistare valore.

Jean è uno scrittore. Solo il passato è degno della sua attenzione, mentre del presente non è che un testimone oculare distratto e inattendibile. Giunto alla soglia dei settant’anni si ritrova, con un taccuino datato 1966 alla mano, a dover dar senso alle sue annotazioni. É così che prende corpo il ricordo vago di un momento della sua vita. Tra le note torna insistente il nome di Dannie, misteriosa bevitrice di Cointreau, che all’Unic Hotel si circondava di loschi individui dai nomi esotici. É dunque solo a distanza di molti anni che Jean decide di provare a fare chiarezza sul loro enigmatico legame e sul fantasma di un possibile crimine che aleggia su di essi.

Sí, era come se avessi voluto lasciare, nero su bianco, indizi che in un futuro lontano mi avrebbero permesso di chiarire ciò che avevo vissuto sul momento senza capirlo del tutto. Segnali morse trasmessi alla cieca, nel caos piú completo. E sarebbe stato necessario aspettare anni e anni prima di riuscire a decifrarli.

La narrazione discontinua riesce quasi ad instillare nel lettore l’impressione di brancolare nel buio con gli occhi socchiusi, di scrutare appena nella penombra la scena senza comprenderla. Il testo, fatto di periodi brevi e ricorrenti domande che il protagonista pone a se stesso contribuisce a creare un clima di dubbio e di incertezze.

Quasi tutta la vicenda si svolge nel quartiere di Montparnasse, da Rue Vandamme a Rue d’Odessa. Modiano si serve della topografia parigina per far si che il suo lettore si addentri con lui nelle strade di un’inedita Ville Lumière, qui tutt’altro che illuminata. E ci riesce bene, tanto da rendere quasi necessario il bisogno di tenere a portata di mano una mappa di Parigi per provare ad orientarsi.

Ciò che torna insistentemente è l’idea di un passato concepito come messaggio oscuro da decifrare e della memoria come strumento d’indagine al tempo stesso prezioso e ingannevole. Perché la ricerca della verità non è che un cammino asintotico.

Il valore delle cose è colto solo nel già vissuto o in ciò che è assurto allo statuto di passato. Ma del resto non è forse questo un tratto costitutivo dell’essere umano? Diventare cosciente solo del già accaduto, essere agostinianamente impossibilitato ad afferrare il presente?

Se la fiducia e l’attenzione sono accordate solo a ciò che è già stato, il futuro, ciò che ha da venire, genera incertezza e provoca il ricorso a quelle piccole umane superstizioni che l’autore riesce a dotare di valore poetico: la speranza di tornare in un luogo solo perché vi si è lasciata la luce accesa o l’assurda ostinazione a non annotare gli appuntamenti per timore che la donna amata possa non presentarsi…

Come un moderno Proust, Jean si avventura “alla ricerca di un tempo perduto”, facendosi guidare dal ricordo involontario, dalla memoria dei sensi, o meglio dalle sensazioni che affiorano inaspettatamente nel ritrovarsi quasi per caso in una via o di fronte ad una fotografia sbiadita. Mappe, numeri di telefono, oggetti rinvenuti al mercato delle pulci, sono i materiali a partire dai quali il premio Nobel Modiano costruisce e ricostruisce le sue storie. Sono quei punti e quelle linee che insieme formano i “messaggi in codice morse” che l’autore invia al lettore.

I personaggi di Modiano sono perlopiù gente intenzionata a nascondersi e confondersi tra la folla, in fuga da qualcosa. E non è possibile sondare le loro relazioni, scoprire che lavoro facciano, che crimini abbiano commesso. Semplicemente esistono e restano imperscrutabili. Soggetti che rimangono, nonostante tutto, estranei al protagonista come al lettore, finanche all’autore stesso.

Ma tutto sommato i veri incontri sono quelli tra due persone che non sanno niente l’una dell’altra, anche di notte, in una camera d’albergo. 

Queste figure sono minacciate dall’oblio, potrebbero sparire in qualsiasi momento senza che nessuno se ne accorga. É a questa minaccia che la penna dell’autore risponde. Scrivere è per Modiano un modo per preservare l’essere dalla dissolvenza. La scrittura mostra però anche l’altra sua faccia: è un furto, si appropria spesso indebitamente di pezzi di vita altrui, come una fotografia scattata a dei passanti ignari. Ma l’estorsione non è mai completa, l’immagine non si fa mai nitida, è piuttosto una scena guardata attraverso un vetro appannato.

Forse dall’interno il vetro era opaco, come uno specchio semiriflettente. O più semplicemente, eravamo separati da decine e decine di anni, loro erano rimasti bloccati nel passato, in mezzo alla hall di quell’albergo, e io e loro non vivevamo piú nello stesso tempo.

Il tempo è rappresentato quasi come luogo: un altrove sempre vigile e parallelo che mai si tocca col presente e sempre dialoga con esso. Ma a questa spazializzazione torna a fare da controparte l’inafferrabile. L’erba delle notti è dunque un’opera che fa riflettere sull’impossibilità di chiusura e completezza che lo sguardo nostro sugli altri reca in sé, rivelandoci l’irriducibilità di ogni esistenza e di ogni accadere; che mette a tacere, mostrandone la misera inutilità, la curiosità malsana di noi lettori-spettatori del XXI secolo.

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L’ERBA DELLE NOTTI
Patrick Modiano
Traduzione di Emanuelle Caillat
Einaudi
2014
pp. 136
Disponibile anche in ebook

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