DI RABBIA E DI VENTO di Alessandro Robecchi

dirabbiaediventoIn sintesi: brillante, affilato, impietoso.

Milano. Una escort uccisa malamente, un tesoro “nascosto”, un passato che ritorna senza troppi complimenti. Poi, tre uomini – personaggi già conosciuti e amati nei precedenti romanzi di Robecchi – che cercano di capire la ragione di una morte troppo vicina e pure troppo lontana: Tarcisio Ghezzi, detective sui generis con moglie quasi fantozziana al seguito; Oscar Falcone, spalla fuori dagli schemi, e Carlo Monterossi, creatore di mielosi format televisivi dove Flora De Pisis, stravagante conduttrice, la fa da padrona. Sul fondo appunto, Milano, spazzata da un vento insolito, e la musica di Bob Dylan a far da colonna sonora.

Odetta sings Dylan, ecco, perfetto. E così insieme al profumo del pollo si diffonde quel blues calmo che trattiene il furore, che ti si appiccica addosso come la pece e le piume durante i linciaggi nel West.
Odetta Holmes, maestosa trentacinquenne nel 1965, combattente dei diritti civili, attivista, orgoglio nero, i capelli alla Angela Davis, chitarra appena pizzicata alla Joan Baez, canta le parole di quel ragazzo bianco come se fosse sempre notte e sempre Harlem.
I got a heavy-headed gal
I got a heavy-headed gal
I got a heavy-headed gal
She ain’t feelin’ well
When she’s better only time will tell.

La storia, pur non presentando ingredienti tra i più originali, si dipana in modo brillante e avvincente incuneandosi fra le pieghe di una città viva e morta insieme, Milano, appunto, fascinosa nei suoi scorci di lusso e ricchezza e marcia anche, nei suoi giri contorti di miseria e malaffare, con politici viziosi e immigrati non sempre cattivi. Una trama dunque ben costruita ma che non costituisce di fatto l’elemento portante della riuscita di questo romanzo. La forza, infatti, di quest’ultima fatica di Robecchi sta altrove, nell’uso graffiante e pieno del linguaggio, pulito, calibrato, che si spende solo a farti vivere ciò che leggi direttamente sulla pelle; una forza che sta nello sguardo sagace, pungente, spesso velenoso con cui l’autore spinge a dare una lettura attenta e non sempre facile non solo di una storia ma di una realtà – quella di oggi, della televisione trash, dei soldi facili – ben più complessa e articolata. E dei suoi personaggi, anch’essi tratteggiati con sottile maestria. Poche pennellate significative, per alcuni – Katrina, la governante moldava devota alla Madonna di Medjugorie, la moglie brontolona e apprensiva di Tarcisio Ghezzi, Anna la prostituta, Meseret l’immigrato -, figure a tuttotondo, gli altri, i protagonisti, pieni di una umanità densa e imperfetta che facilita l’identificazione di chi, seduto comodamente davanti al caminetto, legge pensando di leggere solo una storia avvincente.
Ecco dunque dove si annida la “differenza” di un romanzo che altrimenti resterebbe semplicemente confinato al suo genere: nell’abilità dell’autore nel provocare autentica, etimologica “com-passione” di fronte alla varia, imperfetta umanità che si presenta fra le pieghe dei suoi personaggi in una realtà luccicante che non è ciò che sembra.
Fra tutti Monterossi: abiti impeccabili, appartamento impeccabile, vita di successo perfettamente impeccabile, di quelle che leggiamo sulle riviste di gossip quasi con una punta di invidia, eppure sbavata da un carico di rabbia, di solitudine e sofferenza profondamente umani, profondamente simile a quello di chi nella realtà ci vive per davvero. Ed è una rabbia, quella che nasce dalla banale morte di una prostituta incontrata solo per qualche ora, che smuove il protagonista, che lo spinge a cercare, a capire, in ultima analisi a non stare fermo di fronte agli eventi, anche marginali, che inesorabilmente segnano la strada di chiunque.

«Il dottor Monterossi?».
Una voce maschile, gentile ma ferma. Quelle voci che comandano.
Ancora:
«Carlo Monterossi?».
«Sì, sì», risponde Carlo.
Perché sente un allarme? Perché siamo creature sensibili? Oppure perché il presentimento è una forma d’arte in cui eccelliamo tutti?
«Buongiorno, dottor Monterossi. È la questura di Milano. Sovrintendente Carella».
Ora l’allarme passa. Carlo non ha pendenze né sensi di colpa, e nemmeno è uno di quelli che tremano vedendo una divisa pur essendo perfettamente in regola. Sì, ha avuto qualche avventura, ultimamente, ma il suo rapporto con autorità costituite, istituzioni, vigili urbani, pompieri, polizia, finanza, carabinieri, corpo forestale e posteggiatori, anche abusivi, è totalmente tranquillo e fiducioso. Insomma, fiducioso forse è troppo, ma…

Sono questo sguardo sul mondo – vivido, impietoso, e pure amorevole – questo bisogno di movimento e di ricerca, questo linguaggio affilato, a fare, come si diceva, la sostanziale differenza tra Robecchi e gli altri.
alessandrorobecchi
Di rabbia e di vento
Alessandro Robecchi
Sellerio
Anno 2016
p.407
Euro 15,00
Disponibile anche in eBook

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