A COLPI D’ASCIA – Una irritazione di Thomas Bernhard

A colpi d'ascia CopertinaHo trovato A colpi d’ascia in una catasta di libri usati. La mia copia ha la copertina scorticata, qualcuno direbbe vissuta, io dico semplicemente rovinata, ma che importa? A colpi d’ascia. Che titolo!

Associato all’autore de Il Soccombente poi, ha tutta la forza di un pugno in faccia e il fascino di una rissa interminabile.
Me lo sono portato via dal negozio a un prezzo ridicolo e per tutto il resto della giornata non pensavo ad altro: A colpi d’ascia. Me lo ripetevo a fior di labbra e già alla parola “d’ascia”, quando la lingua ti si spalma sul palato, mi sembrava di gustare tutto il livore e il lucido cinismo di Bernhard, un veleno che da dipendenza. L’ho letto, ininterrottamente, come schiacciata da un attacco bulimico che non da scampo.
Poco prima di finirlo, per quelle assurde associazioni di idee che non si sa bene da dove nascono e perché, mi sono ritrovata fra le mani la mia copia de Il canone occidentale di Harold Bloom.
Giunta alla sue ultime pagine sono stata sorpresa e fulminata da un passo delle sue conclusioni.
Ritengo che l’io, nella sua aspirazione ad essere libero e solitario, legga, in sostanza, con un unico scopo:trovarsi di fronte alla grandezza”.
Il mio sguardo si è spostato autonomamente sulla mia lurida copertina e non ho potuto che pensare di averla trovata questa “grandezza”.
Thomas Bernhard possedeva la grandezza del genio e in una forma così alta e limpida che è impossibile non riconoscerla nelle sue pagine.
Seduto in una poltrona d’anticamera, nell’appartamento viennese dei coniugi Auersberger, una cantante ed un pianista, lo sguardo acutissimo e inclemente dello scrittore protagonista smembra, riga dopo riga, il mondo intellettuale, tutto rappresentato dai partecipanti a questa ridicola “cena artistica”.
Mentre gli invitati attendono l’ospite d’onore, l’attore del Burghtheater interprete de L’anitra selvaggia di Ibsen, il protagonista osserva, analizza e, attraverso il momento presente, ricorda un passato vecchio di venti anni, che con il procedere della serata sembra riemergere per soffocarlo e riafferrarlo nuovamente.
Un interminabile ed interrotto monologo mentale carico di inclemenza, odio, cinismo, ferocia e una velenosa comicità che non risparmia niente e nessuno, nemmeno il protagonista. L’ascia del titolo prende forma nei rettangoli perfetti delle sue pagine, dove non esistono spazi bianchi e che si abbatte inesorabile e lucida, senza pietà, su ogni forma di atrocità a cui il protagonista cerca in un crescendo d’ansia di sfuggirle, e da cui si metterà in salvo scrivendo questo libro.
Leggere Bernhard in tedesco deve essere un’esperienza meravigliosa. I suoi monologhi sono ipnotici e martellanti, una sorta di ripetizione ossessiva che sembra avere l’obiettivo di insinuarsi nel tuo cervello infettandolo con la sua crudele lucidità. Nel martellare delle sue ripetizioni la sua prosa ti spalanca la mente senza darti nemmeno il tempo di riprendere fiato e quando arrivi alla fine del libro, chiudendolo, il silenzio che ti circonda e che invade la tua mente ti sembra atroce, stupido e grottesco come gli Auersberger stessi.

A colpi d’ascia – Una irritazione
di Thomas Bernhard
Traduzione di Agnese Grieco e Renata Colorni
Adelphi collana Fabula (1990)
€ 16,00
pp.222
ISBN 8845907813

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