METROPOLI di Massimilano Santarossa

Metropoli-massimiliano-santarossaIn poche parole: in un futuro ipotetico, l’implosione delle strutture economiche porta alla dissoluzione del mondo, della società per come noi la conosciamo, porta alla quasi totale estinzione del mondo vivente. Gli uomini rimasti vagano combattendo per la vita, nella desolazione, con la speranza di trovare quello che rimane l’unico approdo che possa promettere la salvezza: Metropoli, città-fortezza che metabolizza tutto e che tutto usa per crescere, a partire dai suoi abitanti.

Giunto a Metropoli il protagonista diventerà il cittadino 5.937.178.

“Rimase seduto sull’asfalto bagnato e lucido per ore. La testa tra le mani. La schiena dolorante. Le braccia schiacciate tra le gambe. Si proteggeva dal gelo e dalla pioggia come un animale in punto di morte, abbandonato, con nemmeno la volontà di disperarsi. Dove era il recupero, dove era la salvezza, dove era la speranza cui ogni essere del passato, del presente, del futuro si affidava, erano le nere nuvole ad aver divorato Dio? Si ricordò del foglio con le indicazioni. Lo prese dalla tasca. Le dita gli tremavano, gli occhi faticavano a mettere a fuoco le lettere rosse stampate sulla carta gialla. Cittadino numero 5.937.178, il suo Alloggio del Popolo si trova alla Zona Riposo, Isolato Residenziale alla Periferia Est, Altezza Z, Posizione B 2.2.6. Raggiungibile attraverso Sistema Elettrico di Superficie.

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LA FORMA MINIMA DELLA FELICITÀ di Francesca Marzia Esposito

LaFormaMinima_Cover Luce vive a Milano, Luce vive barricata in casa, perché uscire fa paura. Luce guarda solo il Canale 32, l’unico che la tv riceve, televendite di gioielli giorno e notte. Luce sopravvive. Fino a quando, prima impercettibilmente e poi in modo via via sempre più evidente, qualcosa cambierà. Nella sua routine entra la piccola Viola/Bambina. Viola che non parla ma capisce, Viola che attacca post-it sulla parete, Viola che telefona a Canale 32 e che fa entrare così nella vita di Luce una forma minima di felicità.

Trascorse il tempo così, post-it appiccicato sul vetro sporco, occhi proiettati a chilometri di distanza. Una parte di me ripercorreva nei suoi silenzi l’esatta percezione dell’essere piccoli in un mondo sconfinato. Mi dava le spalle, i capelli raccolti sulla nuca tonda, la pelle trasparente del collo, le suole degli stivaletti a vista sotto i glutei. Toccò con l’indice il vetro, lo fece scorrere come a tracciare una linea, poi si bloccò e riprese in un’altra direzione.

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